Il Codice Penale

Il codice penale è fonte del diritto penale sostanziale che racchiude i principi cardine e le regole che hanno lo scopo di reprimere i fatti costituenti reato.

Il codice p. vigente, detto c. Rocco dal nome del ministro della Giustizia che lo propose (r.d. 19 ott.1930 n.1398), inizialmente composto da 734 articoli, è diviso in tre libri (dei reati in generale, dei delitti in particolare, delle contravvenzioni in particolare). Nonostante la necessità di una riforma globale, al c.p. sono state apportate modifiche solo in interventi settoriali.

Tra quelli di più ampio respiro si ricordano la cd. novella del 1974 (d.l. 11 apr. 1974 n. 9), con la quale si apportano modifiche notevoli alla parte generale del c.p., e la cd. depenalizzazione (l. 24 nov. 1981 n. 689).

Il codice penale

Codice Penale

 

Libro primo

 

DEI REATI IN GENERALE

 

Titolo I: DELLA LEGGE PENALE

 

Art. 1

 

– Reati e pene: disposizione espressa di legge –

 

Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, nè con pene che non siano da essa stabilite.

 

 

 

Art. 2

 

– Successione di leggi penali –

 

Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.

 

Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali.

 

Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

 

Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto – legge e nei casi di un decreto – legge convertito in legge con emendamenti (1).

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 22 febbraio 1985, n. 51, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma dello stesso art. 2 del cod. pen.

 

 

 

Art. 3

 

– Obbligatorietà della legge penale –

 

La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale.

 

La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale.

 

 

 

Art. 4

 

– Cittadino italiano. Territorio dello Stato –


Agli effetti della legge penale, sono considerati “cittadini italiani” i cittadini delle colonie, i sudditi coloniali, gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato.

 

Agli effetti della legge penale, è “territorio dello Stato” il territorio “della Repubblica”, quello delle colonie ed ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera.

 

 

 

Art. 5

 

– Ignoranza della legge penale –

 

Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale.

 

La Corte costituzionale, sentenza 24 marzo 1988, n. 364, ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.

 

 

 

Art. 6

 

– Reati commessi nel territorio dello Stato –

 

Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana.

 

Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione.

 

 

 

Art. 7

 

– Reati commessi all’estero –

 

  • punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati:

 

  • delitti contro la personalità dello Stato;

 

  • delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;

 

  • delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;

 

  • delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;

 

  • ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.

 

 

 

 

Art. 8

 

– Delitto politico commesso all’estero –

 

Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia.

 

Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela.

 

Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.

 

 

 

Art. 9

 

– Delitto comune del cittadino all’estero –

 

Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato.

 

Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, ovvero a istanza o a querela della persona offesa.

 

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che la estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 10

 

– Delitto comune dello straniero all’estero –

 

Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.

 

Se il delitto è commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che:

 

  • si trovi nel territorio dello Stato;

 

  • si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena di morte (1) o dell’ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore a un minimo di tre anni;

 

  • l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

Art. 11

 

– Rinnovamento del giudizio –

 

Nel caso indicato nell’art. 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato anche se sia stato giudicato all’estero.

 

Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all’estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta.

 

 

 

Art. 12

 

– Riconoscimento delle sentenze penali straniere –

 

Alla sentenza penale straniera pronunciata per un delitto può essere dato riconoscimento:

 

  • per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l’abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere;

 

  • quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria;

 

  • quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali;

 

  • quando la sentenza straniera porta condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili.

 

Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall’Autorità giudiziaria di uno Stato estero col quale esiste trattato di estradizione. Se questo non esiste, la sentenza estera può essere ugualmente ammessa a riconoscimento nello Stato qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta. Tale richiesta non occorre se viene fatta istanza per il riconoscimento agli effetti indicati nel n. 4.

 

 

 

Art. 13

 

– Estradizione –

 

L’estradizione è regolata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali.

 

L’estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera.

 

L’estradizione può essere conceduta od offerta, anche per reati non preveduti nelle convenzioni internazionali, purchè queste non ne facciano espresso divieto.

 

Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali.

 

 

 

Art. 14

 

– Computo e decorrenza dei termini –

 

Quando la legge penale fa dipendere un effetto giuridico dal decorso del tempo, per il computo di questo si osserva il calendario comune.

 

Ogni qual volta la legge penale stabilisce un termine per il verificarsi di un effetto giuridico, il giorno della decorrenza non è computato nel termine.

 

 

 

Art. 15

 

– Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale –

 

Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.

 

 

 

Art. 16

 

– Leggi penali speciali –

 

Le disposizioni di questo codice si applicano anche alle materie regolate da altre leggi penali, in quanto non sia da queste stabilito altrimenti

 

 

 

Titolo II: DELLE PENE

 

Capo I: DELLE SPECIE DI PENE, IN GENERALE

 

Art. 17

 

– Pene principali: specie –

 

Le pene principali stabilite per i delitti sono:

 

  • la morte (1) ;

 

  • l’ergastolo;

 

  • la reclusione;

 

  • la multa.

 

Le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono:

 

  • l’arresto;

 

  • l’ammenda.

 

La Corte costituzionale, sentenza 28 aprile 1994, n. 168, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile.

 

(1)La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 18

 

– Denominazione e classificazione delle pene principali –

 

Sotto la denominazione di “pene detentive” o “restrittive della libertà personale” la legge comprende:

 

l’ergastolo, la reclusione e l’arresto.

 

Sotto la denominazione di “pene pecuniarie” la legge comprende: la multa e l’ammenda.

 

 

 

 

Art. 19

 

– Pene accessorie: specie –

 

Le pene accessorie per i delitti sono:

 

  • l’interdizione dai pubblici uffici;

 

  • l’interdizione da una professione o da un’arte;

 

  • l’interdizione legale;

 

  • l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;

 

  • l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione;

 

  • la decadenza o la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori. Le pene accessorie per le contravvenzioni sono:
  • la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte;

 

  • la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

 

Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale di condanna.

 

La legge penale determina gli altri casi in cui le pene accessorie stabilite per i delitti sono comuni alle contravvenzioni.

 

Articolo così modificato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 20

 

– Pene principali e accessorie –

 

Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.

 

 

 

Capo II: DELLE PENE PRINCIPALI, IN PARTICOLARE

 

Art. 21

 

– Pena di morte – (1)

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 22

 

– Ergastolo –

 

La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.

 

Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto (1).

 

La Corte costituzionale, sentenza del 28 aprile 1994, n. 168, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile.

 

(1) Comma così modificato dalla L. 25 novembre 1962, n. 1634.

 

 

 

 

Art. 23

 

– Reclusione –

 

La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.

 

Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all’aperto.

 

Sono applicabili alla pena della reclusione le disposizioni degli ultimi due capoversi dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Art. 24

 

– Multa –

 

La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire diecimila, nè superiore a dieci milioni.

 

Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da lire diecimila a quattro milioni.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

Art. 25

 

– Arresto –

 

La pena dell’arresto si estende da cinque giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.

 

Il condannato all’arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento, avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni.

 

 

 

Art. 26

 

– Ammenda –

 

La pena dell’ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire quattromila nè superiore a lire due milioni.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 27

 

– Pene pecuniarie fisse e proporzionali –

 

La legge determina i casi nei quali le pene pecuniarie sono fisse e quelle in cui sono proporzionali. Le pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo.

 

 

 

Capo III: DELLE PENE ACCESSORIE, IN PARTICOLARE

 

Art. 28

 

– Interdizione dai pubblici uffici –

 

L’interdizione dai pubblici uffici è perpetua o temporanea.

 

L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato:

 

  • del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico;

 

  • di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale o d’incaricato di pubblico servizio;

 

  • dell’ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura;

 

  • dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche;

 

  • degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico (1) ;

 

  • di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi, o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicate nei numeri precedenti;

 

  • della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti.

 

L’interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l’interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze (2) .

 

Essa non può avere una durata inferiore a un anno, nè superiore a cinque.

 

La legge determina i casi nei quali l’interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi.

 

  • La Corte costituzionale, sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, ha dichiarato l’illegittimità, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., del presente comma, limitatamente alla parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro.

 

Successivamente la stessa Corte, con sentenza del 19 luglio 1968, n. 113, ha dichiarato l’illegittimità del comma per quanto attiene alle pensioni di guerra.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 13 gennaio 1966, n. 3, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alla parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro.

 

 

 

Art. 29

 

– Casi nei quali alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici –

 

La condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

 

La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere, importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

 

 

 

Art. 30

 

– Interdizione da una professione o da un’arte –

 

L’interdizione da una professione o da un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità e importa la decadenza dal permesso o dall’abilitazione, autorizzazione o licenza anzidetta.

 

L’interdizione da una professione o da un’arte non può avere una durata inferiore a un mese, nè superiore a cinque anni, salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge.

 

 

 

Art. 31

 

  • Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un’arte. Interdizione –

 

Ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel numero 3 dell’art. 28, ovvero con l’abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio, o mestiere, o con la violazione dei doveri

 

ad essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere.

 

 

 

Art. 32

 

– Interdizione legale –

 

Il condannato all’ergastolo è in stato d’interdizione legale.

 

La condanna all’ergastolo importa anche la decadenza dalla potestà dei genitori (1) .

 

Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato d’interdizione legale; la condanna produce altresì, durante la pena, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti (1) .

 

Alla interdizione legale si applicano, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, nonchè la rappresentanza negli atti ad esse relativi, le norme della legge civile sulla interdizione giudiziale.

 

(1) Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 32 bis

 

– Interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese –

 

L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale, nonchè ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore.

 

Essa consegue ad ogni condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 32 ter

 

– Incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione –

 

L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione importa il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.

 

Essa non può avere durata inferiore ad un anno nè superiore a tre anni.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 32 quater

 

 

– Casi nei quali alla condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione –


Ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli 316 bis, 317, 318, 319, 319 bis, 320, 321, 322, 353, 355, 356, 416, 416 bis, 437, 501, 501 bis, 640, n. 1 – del secondo comma, 640 bis, 644, commessi in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa, importa l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, successivamente sostituito dall’art. 3, comma 3, D.L. 17 settembre 1993, n. 369 ed infine così modificato dell’art. 7, L. 7 marzo 1996, n. 108.

 

 

 

Art. 33

 

– Condanna per delitto colposo –

 

Le disposizioni dell’articolo 29 e del secondo capoverso dell’articolo 32 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo (1) .

 

Le disposizioni dell’articolo 31 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta è inferiore a tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria.

 

(1) Comma così modificato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 34

 

– Decadenza della potestà dei genitori e sospensione dell’esercizio di essa –

 

La legge determina i casi nei quali la condanna importa la decadenza della potestà dei genitori.

 

La condanna per delitti commessi con abuso della potestà dei genitori importa la sospensione dell’esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.

 

La decadenza della potestà dei genitori importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della potestà di cui al titolo IX del libro I del codice civile.

 

La sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori importa anche l’incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile.

 

Nelle ipotesi previste dai commi precedenti, quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento vengono trasmessi al tribunale dei minorenni, che assume i provvedimenti più opportuni nell’interesse dei minori (1) .

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

  • Comma aggiunto dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 35

 

 

– Sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte –


La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per i quali è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità.

 

La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte non può avere una durata inferiore a quindici giorni, nè superiore a due anni .

 

Essa consegue a ogni condanna per contravvenzione, che sia commessa con abuso della professione, arte, industria, o del commercio o mestiere, ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti, quando la pena inflitta non è inferiore a un anno d’arresto.

 

 

 

Art. 35 bis

 

– Sospensione dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese –

 

La sospensione dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, l’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale, nonchè ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore.

 

Essa non può avere una durata inferiore a quindici giorni nè superiore a due anni e consegue ad ogni condanna all’arresto per contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 36

 

– Pubblicazione della sentenza penale di condanna –

 

La sentenza di condanna alla pena di morte (1) o all’ergastolo è pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza.

 

La sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice.

 

La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è eseguita d’ufficio e a spese del condannato.

 

La legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 37

 

– Pene accessorie temporanee: durata –

 

Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione per insolvibilità del condannato. Tuttavia, in

 

nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria.

 

 

 

Art. 38

 

– Condizione giuridica del condannato alla pena di morte –

 

Il condannato alla pena di morte è equiparato al condannato all’ergastolo, per quanto riguarda la sua condizione giuridica.

 

 

 

Titolo III: DEL REATO

 

Capo I: DEL REATO CONSUMATO E TENTATO

 

Art. 39

 

– Reato: distinzione fra delitti e contravvenzioni –

 

I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice.

 

 

 

Art. 40

 

– Rapporto di causalità –

 

Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

 

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

 

 

 

 

Art. 41

 

– Concorso di cause –

 

Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento.

 

Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sè un reato, si applica la pena per questo stabilita.

 

Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

 

 

 

 

Art. 42

 

– Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva –

 

Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà.

 

Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge.

 

La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione.

 

Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.

 

 

 

Art. 43

 

– Elemento psicologico del reato –

 

Il delitto:

 

  • doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;

 

  • preterintenzionale, o oltre la intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente;

 

  • colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

 

La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.

 

 

 

Art. 44

 

– Condizione obiettiva di punibilità –

 

Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto.

 

 

 

Art. 45

 

– Caso fortuito o forza maggiore –

 

Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore.

 

Art. 46

 

– Costringimento fisico –

 

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.

 

In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della violenza.

 

 

 

 

Art. 47

 

– Errore di fatto –

 

L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

 

L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso.

 

L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato.

 

 

 

Art. 48

 

– Errore determinato dall’altrui inganno –

 

Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall’altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo.

 

 

 

Art. 49

 

– Reato supposto erroneamente e reato impossibile –

 

Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato.

 

La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso.

 

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso.

 

Nel caso indicato nel primo capoverso, il giudice può ordinare che l’imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza.

 

 

 

Art. 50

 

– Consenso dell’avente diritto –

 

Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.

 

 

 

Art. 51

 

– Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere –

 

L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.

 

Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.

 

Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.

 

Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.

 

 

 

Art. 52

 

– Difesa legittima –

 

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.

 

 

 

Art. 53

 

– Uso legittimo delle armi –

 

Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona (1) .

 

La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.

 

La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica.

 

(1)Comma così modificato dalla L. 22 maggio 1975, n. 152.

 

 

 

 

Art. 54

 

– Stato di necessità –

 

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

 

Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

 

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.

 

 

 

Art. 55

 

– Eccesso colposo –

 

Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

 

 

 

Art. 56

 

– Delitto tentato –

 

Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.

 

Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, se dalla legge è stabilita per il delitto la pena di morte (1); con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.

 

Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sè un reato diverso.

 

Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 57

 

– Reati commessi col mezzo della stampa periodica –

 

Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo dalla pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.

 

Articolo così modificato dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

 

 

 

Art. 57 bis

 

– Reati commessi col mezzo della stampa non periodica –

 

Nel caso di stampa non periodica, le disposizioni di cui al precedente articolo si applicano all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile.

 

Articolo aggiunto dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

 

 

 

 

Art. 58

 

– Stampa clandestina –

 

Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se non sono state osservate le prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa periodica e non periodica.

 

L’articolo comprendeva un secondo comma abrogato dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

 

 

 

 

Art. 58 bis

 

– Procedibilità per i reati commessi col mezzo della stampa –

 

Se il reato commesso col mezzo della stampa è punibile a querela, istanza o richiesta, anche per la punibilità dei reati preveduti dai tre articoli precedenti è necessaria querela, istanza o richiesta.

 

La querela, la istanza o la richiesta presentata contro il direttore o vicedirettore responsabile, l’editore o lo stampatore, ha effetto anche nei confronti dell’autore della pubblicazione per il reato da questo commesso.

 

Non si può procedere per i reati preveduti nei tre articoli precedenti se è necessaria un’autorizzazione di procedimento per il reato commesso dall’autore della pubblicazione, fino a quando l’autorizzazione non è concessa. Questa disposizione non si applica se l’autorizzazione è stabilita per le qualità o condizioni personali dell’autore della pubblicazione.

 

Articolo aggiunto dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

 

 

 

 

Capo II: DELLE CIRCOSTANZE DEL REATO

 

Art. 59

 

– Circostanze non conosciute o erroneamente supposte –

 

Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti (1) .

 

Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa (2).

 

Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.

 

Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

 

  • Comma così modificato dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

  • Comma aggiunto dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 60

 

– Errore sulla persona dell’offeso –

 

Nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole.

 

Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti.

 

Le disposizioni di questo articolo non si applicano, se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa.

 

 

 

Art. 61

 

– Circostanze aggravanti comuni –

 

Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti:

 

  • l’avere agito per motivi abbietti o futili;

 

  • l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sè o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato;

 

  • l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento;

 

  • l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone;

 

  • l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

 

  • l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato;

 

  • l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;

 

  • l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;

 

  • l’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto;

 

  • l’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio;

 

  • l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione, o di ospitalità.

 

 

 

Art. 62

 

– Circostanze attenuanti comuni –

 

Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti:

 

  • l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;

 

  • l’aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui;

 

  • l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza;

 

  • l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità (1);

 

  • l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;

 

  • l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

 

(1) Numero così sostituito dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 62 bis

 

– Attenuanti generiche –

 

Il giudice, indipendentemente dalle circostanze prevedute nell’art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate, in ogni caso, ai fini della applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62.

 

Articolo aggiunto dal D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288.

 

Art. 63

 

– Applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena –

 

Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.

 

Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente.

 

Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo (1).

 

Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla.

 

Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla.

 

(1) Comma così modificato dalla L. 31 luglio 1984, n. 400.

 

 

 

 

Art. 64

 

– Aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante –

 

Quando ricorre una circostanza aggravante, e l’aumento di pena non è determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso.

 

Nondimeno, la pena della reclusione da applicare per effetto dell’aumento non può superare gli anni trenta.

 

(1)

 

Art. 65

 

– Diminuzione di pena nel caso di una sola circostanza attenuante –

 

Quando ricorre una circostanza attenuante, e non è dalla legge determinata la diminuzione di pena, si osservano le norme seguenti:

 

  • alla pena di morte (1) è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni;

 

  • alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni;

 

  • le altre pene sono diminuite in misura non eccedente un terzo.

 

  • La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 66

 

– Limiti degli aumenti di pena nel caso di concorso di più circostanze aggravanti –

 

Se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato, salvo che si tratti delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell’articolo 63, nè comunque eccedere:

 

  • gli anni trenta, se si tratta della reclusione;

 

  • gli anni cinque, se si tratta dell’arresto;

 

  • e, rispettivamente, lire venti milioni o quattro milioni, se si tratta della multa o dell’ammenda; ovvero, rispettivamente, lire sessanta milioni o dodici milioni se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133 bis.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 67

 

– Limiti delle diminuzioni di pena nel caso di concorso di più circostanze attenuanti –

 

Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore:

 

  • a quindici anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena di morte (1);

 

  • a dieci anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell’ergastolo.

 

Le altre pene sono diminuite. In tal caso, quando non si tratta delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell’articolo 63, la pena non può essere applicata in misura inferiore a un quarto.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 68

 

– Limiti al concorso di circostanze –

 

Salvo quanto è disposto nell’articolo 15, quando una circostanza aggravante comprende in sè un’altra circostanza aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sè un’altra circostanza attenuante,

 

  • valutata a carico o a favore del colpevole soltanto la circostanza aggravante o la circostanza attenuante, la quale importa, rispettivamente, il maggior aumento o la maggiore diminuzione di pena.

 

Se le circostanze aggravanti o attenuanti importano lo stesso aumento o la stessa diminuzione di pena, si applica un solo aumento o una sola diminuzione di pena.

 

 

 

Art. 69

 

– Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti –


Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.

 

Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tien conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti.

 

Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.

 

Le disposizioni precedenti si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (1).

 

In tal caso, gli aumenti e le diminuzioni di pena si operano a norma dell’articolo 63, valutata per ultima la recidiva (2).

 

(1)Comma così modificato dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99. Successivamente la Corte costituzionale, sentenza 28 aprile 1994, n. 168, ha dichiarato, in applicazione dell’art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale del quarto comma del presente articolo nella parte in cui prevede che nei confronti del minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma dello stesso articolo 69 in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all’art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che comportano la pena dell’ergastolo, nonchè nella parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all’art. 98 del codice penale e una o più circostanze aggravanti che accedono ad un reato per il quale è prevista la pena base dell’ergastolo.

 

(2)Comma abrogato dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99.

 

 

 

 

Art. 70

 

– Circostanze oggettive e soggettive –

 

Agli effetti della legge penale:

 

  • sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso;

 

  • sono circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole.

 

Le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano la imputabilità e la recidiva.

 

 

 

 

Capo III: DEL CONCORSO DI REATI

 

Art. 71

 

 

– Condanna per più reati con unica sentenza o decreto –


Quando, con una sola sentenza o con un solo decreto, si deve pronunciare condanna per più reati contro la stessa persona, si applicano le disposizioni degli articoli seguenti.

 

 

 

Art. 72

 

– Concorso di reati che importano l’ergastolo e di reati che importano pene detentive temporanee –

 

Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa la pena dell’ergastolo, si applica la detta pena con l’isolamento diurno da sei mesi a tre anni.

 

Nel caso di concorso di un delitto che importa la pena dell’ergastolo, con uno o più delitti che importano pene detentive temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni, si applica la pena dell’ergastolo con l’isolamento diurno per un periodo di tempo da due a diciotto mesi.

 

L’ergastolano condannato all’isolamento diurno partecipa all’attività lavorativa.

 

Articolo così modificato dalla L. 25 novembre 1962, n. 1634.

 

 

 

 

Art. 73

 

  • Concorso di reati che importano pene detentive temporanee o pene pecuniarie della stessa specie –

 

Se più reati importano pene temporanee detentive della stessa specie, si applica una pena unica, per un tempo eguale alla durata complessiva delle pene che si dovrebbero infliggere per i singoli reati.

 

Quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo (1) .

 

Le pene pecuniarie della stessa specie si applicano tutte per intero.

 

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 28 aprile 1994, n. 168, ha dichiarato, in applicazione dell’art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui, in caso di concorso di più delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, prevede la pena dell’ergastolo.

 

 

 

Art. 74

 

– Concorso di reati che importano pene detentive di specie diversa –

 

Se più reati importano pene temporanee detentive di specie diversa, queste si applicano tutte distintamente e per intero.

 

La pena dell’arresto è eseguita per ultima.

 

 

 

 

 

Art. 75

 

– Concorso di reati che importano pene pecuniarie di specie diversa –

 

Se più reati importano pene pecuniarie di specie diversa, queste si applicano tutte distintamente e per intero.

 

Nel caso che la pena pecuniaria non sia stata pagata per intero, la somma pagata, agli effetti della conversione, viene detratta dall’ammontare della multa.

 

 

 

Art. 76

 

– Pene concorrenti considerate come pena unica ovvero come pene distinte –

 

Salvo che la legge stabilisca altrimenti, le pene della stessa specie concorrenti a norma dell’articolo 73 si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico.

 

Le pene di specie diversa concorrenti a norma degli articoli 74 e 75 si considerano egualmente, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave. Nondimeno si considerano come pene distinte, agli effetti della loro esecuzione, dell’applicazione delle misure di sicurezza e in ogni altro caso stabilito dalla legge.

 

Se una legge pecuniaria concorre con un’altra pena di specie diversa, le pene si considerano distinte per qualsiasi effetto giuridico.

 

 

 

Art. 77

 

– Determinazione delle pene accessorie –

 

Per determinare le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, si ha riguardo ai singoli reati per i quali è pronunciata la condanna, e alle pene principali che, se non vi fosse concorso di reati, si dovrebbero infliggere per ciascuno di essi.

 

Se concorrono pene accessorie della stessa specie, queste si applicano tutte per intero.

 

 

 

 

Art. 78

 

– Limiti degli aumenti delle pene principali –

 

Nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, nè comunque eccedere:

 

  • trenta anni per la reclusione;

 

  • sei anni per l’arresto;

 

  • lire trenta milioni per la multa e sei milioni per l’ammenda; ovvero lire centoventicinque milioni per la multa e venticinque milioni per l’ammenda, se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133 bis.

 

Nel caso di concorso di reato preveduto dall’articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell’articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte della pena eccedente tale limite, è detratta in ogni caso dall’arresto.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 79

 

– Limiti degli aumenti delle pene accessorie –

 

La durata massima delle pene accessorie temporanee non può superare, nel complesso, i limiti seguenti:

 

  • dieci anni, se si tratta della interdizione dai pubblici uffici o dell’interdizione da una professione o da un’arte;

 

  • cinque anni, se si tratta della sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte.

 

 

 

 

Art. 80

 

– Concorso di pene inflitte con sentenze o decreti diversi –

 

Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze o più decreti di condanna.

 

 

 

Art. 81

 

– Concorso formale. Reato continuato –

 

  • punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.

 

Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

 

Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.

 

Articolo così sostituito dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99.

 

 

 

 

Art. 82

 

– Offesa di persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta –

 

Quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’articolo 60.

 

Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà.

 

 

 

Art. 83

 

– Evento diverso da quello voluto dall’agente –

 

Fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, se, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

 

Se il colpevole ha cagionato altresì l’evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati.

 

 

 

 

Art. 84

 

– Reato complesso –

 

Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato.

 

Qualora la legge, nella determinazione della pena per il reato complesso, si riferisca alle pene stabilite per i singoli reati che lo costituiscono, non possono essere superati i limiti massimi indicati negli articoli 78 e 79.

 

 

 

Titolo IV: DEL REO E DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO

 

Capo I: DELLA IMPUTABILITÀ

 

Art. 85

 

– Capacità d’intendere e di volere –

 

Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile.

 

È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.

 

 

 

 

Art. 86

 

– Determinazione in altri dello stato d’incapacità, allo scopo di far commettere un reato –

 

Se taluno mette altri nello stato d’incapacità d’intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d’incapacità.

 

 

 

 

Art. 87

 

– Stato preordinato d’incapacità d’intendere e di volere –

 

La disposizione della prima parte dell’articolo 85 non si applica a chi si è messo in stato d’incapacità d’intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa.

 

 

 

Art. 88

 

– Vizio totale di mente –

 

Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere.

 

 

 

Art. 89

 

– Vizio parziale di mente –

 

Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita.

 

 

 

Art. 90

 

– Stati emotivi o passionali –

 

Gli stati emotivi o passionali non escludono nè diminuiscono l’imputabilità.

 

 

 

 

Art. 91

 

– Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore –

 

Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d’intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.

 

Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, la pena è diminuita.

 

 

 

Art. 92

 

– Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata –

 

L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude nè diminuisce l’imputabilità.

 

Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata.

 

 

 

Art. 93

 

– Fatto commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti –

 

Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti.

 

 

 

Art. 94

 

– Ubriachezza abituale –

 

Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata.

 

Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.

 

L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze.

 

 

 

Art. 95

 

– Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti –

 

Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89.

 

 

 

Art. 96

 

– Sordomutismo –

 

Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità la capacità d’intendere o di volere.

 

Se la capacità d’intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita.

 

 

 

 

Art. 97

 

– Minore degli anni quattordici –

 

Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni.

 

 

 

 

Art. 98

 

– Minore degli anni diciotto –

 

  • imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita.

 

Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori o dell’autorità maritale.

 

 

 

Capo II: DELLA RECIDIVA, DELLA ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ NEL REATO

 

E DELLA TENDENZA A DELINQUERE

 

Art. 99

 

– Recidiva –

 

Chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, può essere sottoposto a un aumento fino ad un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato.

 

La pena può essere aumentata fino ad un terzo:

 

  • se il nuovo reato è della stessa indole;

 

  • se il nuovo reato è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;

 

  • se il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.

 

Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate nei numeri precedenti, l’aumento di pena può essere fino alla metà.

 

Se il recidivo commette un altro reato, l’aumento della pena, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, può essere fino alla metà e, nei casi preveduti dai numeri 1) e 2) del primo capoverso, può essere fino a due terzi; nel caso preveduto dal numero 3) dello stesso capoverso può essere da un terzo ai due terzi.

 

In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato.

 

Articolo così sostituito dalla L. 11 aprile 1974, n. 99.

 

 

 

 

Art. 100

 

Articolo abrogato dalla L. 11 aprile 1974, n. 99.

 

 

 

 

Art. 101

 

– Reati della stessa indole –


Agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pure essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni.

 

 

 

Art. 102

 

– Abitualità presunta dalla legge –

 

  • dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un’altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro i dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti.

 

Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive.

 

 

 

Art. 103

 

– Abitualità ritenuta dal giudice –

 

Fuori del caso indicato nell’articolo precedente, la dichiarazione di abitualità nel delitto è pronunciata anche contro chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto.

 

 

 

Art. 104

 

– Abitualità nelle contravvenzioni –

 

Chi, dopo essere stato condannato alla pena dell’arresto per tre contravvenzioni della stessa indole, riporta condanna per un’altra contravvenzione, anche della stessa indole, è dichiarato contravventore abituale, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al reato.

 

 

 

Art. 105

 

– Professionalità nel reato –

 

Chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per un altro reato, è dichiarato delinquente o contravventore professionale, qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole e alle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato.

 

Art. 106

 

– Effetti dell’estinzione del reato o della pena –

 

Agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, si tien conto altresì delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena.

 

Tale disposizione non si applica quando la causa estingue anche gli effetti penali.

 

 

 

 

Art. 107

 

– Condanna per vari reati con una sola sentenza –

 

Le disposizioni relative alla dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato si applicano anche se, per i vari reati, è pronunciata condanna con una sola sentenza.

 

 

 

Art. 108

 

– Tendenza a delinquere –

 

  • dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l’incolumità individuale, anche non preveduto dal capo I del titolo XII del libro II di questo codice, il quale, per sè e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole.

 

La disposizione di questo articolo non si applica se la inclinazione al delitto è originata dall’infermità preveduta dagli artt. 88 e 89.

 

 

 

Art. 109

 

– Effetti della dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere –

 

Oltre gli aumenti di pena stabiliti per la recidiva e i particolari effetti indicati da altre disposizioni di legge, la dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato o di tendenza a delinquere importa l’applicazione di misure di sicurezza.

 

La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato può essere pronunciata in ogni tempo, anche dopo la esecuzione della pena; ma se è pronunciata dopo la sentenza di condanna, non si tien conto della successiva condotta del colpevole e rimane ferma la pena inflitta.

 

La dichiarazione di tendenza a delinquere non può essere pronunciata che con la sentenza di condanna.

 

La dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato e quella di tendenza a delinquere si estinguono per effetto della riabilitazione.

 

 

 

Capo III: DEL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO

 

Art. 110

 

– Pena per coloro che concorrono nel reato –

 

Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.

 

 

 

Art. 111

 

– Determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile –

 

Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una conduzione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso, e la pena è aumentata. Se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, la pena è aumentata da un terzo alla metà (1) .

 

Se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la potestà, la pena è aumentata fino alla metà o, se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, da un terzo a due terzi (2).

 

  • L’originario unico comma è stato così modificato dall’art. 11, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.

 

  • Comma aggiunto dall’art. 7, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

 

 

 

Art. 112

 

– Circostanze aggravanti –

 

La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata:

 

  • se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la legge disponga altrimenti;

 

  • per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo;

 

  • per chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette;

 

  • per chi, fuori del caso preveduto dall’articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni

 

18 o una persona in stato d’infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza (1).

 

La pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza (2).

 

Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione del delitto ne è il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal numero 4 del primo comma la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal secondo comma la pena è aumentata fino a due terzi (3).

 

Gli aggravamenti di pena stabiliti nei numeri 1, 2 e 3 di questo articolo si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile.

 

(1) Numero così sostituito dall’art. 11, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.

 

  • Comma aggiunto dall’art. 11, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.

 

  • Comma aggiunto dall’art. 7, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

 

 

 

Art. 113

 

– Cooperazione nel delitto colposo –

 

Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.

 

La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell’articolo 112.

 

 

 

Art. 114

 

– Circostanze attenuanti –

 

Il giudice, qualora ritenga che l’opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, può diminuire la pena.

 

Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell’articolo 112.

 

La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma dell’articolo 112 (1) .

 

(1) Comma così modificato dall’art. 7, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

 

 

 

Art. 115

 

– Accordo per commettere un reato. Istigazione –

 

Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo.

 

Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.

 

Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se la istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso.

 

Qualora la istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato d’istigazione a un delitto, l’istigatore può essere sottoposto a misura di sicurezza.

 

 

 

Art. 116

 

– Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti –


Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione.

 

Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave.

 

 

 

Art. 117

 

– Mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti –

 

Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra il colpevole e l’offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena.

 

 

 

Art. 118

 

– Valutazione delle circostanze aggravanti o attenuanti –

 

Le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono.

 

Articolo così sostituito dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 119

 

– Valutazione delle circostanze di esclusione della pena –

 

Le circostanze soggettive, le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono.

 

Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato.

 

 

 

 

Capo IV: DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO

 

Art. 120

 

– Diritto di querela –

 

Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d’ufficio o dietro richiesta o istanza ha diritto di querela.

 

Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione d’infermità di mente, il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore.

 

I minori che hanno compiuto gli anni quattordici e gli inabilitati, possono esercitare il diritto di querela, e possono altresì, in loro vece, esercitarlo il genitore ovvero il tutore o il curatore, nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita, del minore o dell’inabilitato.

 

 

 

Art. 121

 

– Diritto di querela esercitato da un curatore speciale –

 

Se la persona offesa è minore degli anni quattordici o inferma di mente, e non v’è chi ne abbia la rappresentanza, ovvero chi l’esercita si trovi con la persona medesima in conflitto di interessi, il diritto di querela è esercitato da un curatore speciale.

 

 

 

Art. 122

 

– Querela di uno fra più offesi –

 

Il reato commesso in danno di più persone è punibile anche se la querela è proposta da una soltanto di esse.

 

 

 

Art. 123

 

– Estensione della querela –

 

La querela si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato.

 

 

 

 

Art. 124

 

– Termine per proporre la querela. Rinuncia –

 

Salvo che la legge disponga altrimenti, il diritto di querela non può essere esercitato, decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato.

 

Il diritto di querela non può essere esercitato se vi è stata rinuncia espressa o tacita da parte di colui al quale ne spetta l’esercizio.

 

Vi è rinuncia tacita, quando chi ha facoltà di proporre querela ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di querelarsi.

 

La rinuncia si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato.

 

 

 

 

Art. 125

 

– Querela del minore o inabilitato nel caso di rinuncia del rappresentante –

 

La rinuncia alla facoltà di esercitare il diritto di querela, fatta dal genitore o dal tutore o dal curatore, non priva il minore, che ha compiuto gli anni quattordici, o l’inabilitato, del diritto di proporre querela.

 

 

 

Art. 126

 

– Estinzione del diritto di querela –

 

Il diritto di querela si estingue con la morte della persona offesa.

 

Se la querela è stata già proposta, la morte della persona offesa non estingue il reato.

 

 

 

 

Art. 127

 

– Richiesta di procedimento per delitti contro il Presidente della Repubblica –

 

Salvo quanto è disposto nel titolo I del libro II di questo codice, qualora un delitto punibile a querela della persona offesa sia commesso in danno del Presidente della Repubblica, alla querela è sostituita la richiesta del Ministro della giustizia.

 

Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 128

 

– Termine per la richiesta di procedimento –

 

Quando la punibilità di un reato dipende dalla richiesta dell’Autorità, la richiesta non può essere più proposta, decorsi tre mesi dal giorno in cui l’Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato.

 

Quando la punibilità di un reato commesso all’estero dipende dalla presenza del colpevole nel territorio dello Stato, la richiesta non può essere più proposta, decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato.

 

 

 

Art. 129

 

– Irrevocabilità ed estensione della richiesta –

 

La richiesta dell’Autorità è irrevocabile.

 

Le disposizioni degli articoli 122 e 123 si applicano anche alla richiesta.

 

 

 

 

Art. 130

 

– Istanza della persona offesa –

 

Quando la punibilità del reato dipende dall’istanza della persona offesa, l’istanza è regolata dalle disposizioni relative alla richiesta. Nondimeno, per quanto riguarda la capacità e la rappresentanza della persona offesa, si applicano le disposizioni relative alla querela.

 

 

 

Art. 131

 

– Reato complesso. Procedibilità di ufficio –

 

Nei casi preveduti dall’articolo 84, per il reato complesso si procede sempre di ufficio, se per taluno dei reati, che ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere di ufficio.

 

 

 

Titolo V: DELLA MODIFICAZIONE, APPLICAZIONE

 

ED ESECUZIONE DELLA PENA

 

Capo I: DELLA MODIFICAZIONE E APPLICAZIONE DELLA PENA

 

Art. 132

 

– Potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena: limiti –

 

Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale.

 

Nell’aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge.

 

 

 

Art. 133

 

– Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena –

 

Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tenere conto della gravità del reato, desunta:

 

  • dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;

 

  • dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;

 

  • dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

 

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

 

  • dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;

 

  • dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;

 

  • dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;

 

  • delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

 

 

 

 

Art. 133 bis

 

– Condizioni economiche del reo; valutazione agli effetti della pena pecuniaria –

 

Nella determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda il giudice deve tenere conto, oltre che dei criteri indicati dall’articolo precedente, anche delle condizioni economiche del reo.

 

Il giudice può aumentare la multa o l’ammenda stabilita dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 133 ter

 

– Pagamento rateale della multa o dell’ammenda –

 

Il giudice, con la sentenza di condanna o con il decreto penale, può disporre, in relazione alle condizioni economiche del condannato, che la multa o l’ammenda venga pagata in rate mensili da tre a trenta. Ciascuna rata tuttavia non può essere inferiore a lire trentamila.

 

In ogni momento il condannato può estinguere la pena mediante un unico pagamento.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 134

 

– Computo delle pene –

 

Le pene temporanee si applicano a giorni, a mesi e ad anni.

 

Nelle condanne a pene temporanee non si tien conto delle frazioni di giorno, e, in quelle a pena pecuniaria, delle frazioni di lira.

 

 

 

Art. 135

 

– Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive –

 

Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando venticinquemila lire, o frazione di venticinquemila lire, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 136

 

– Modalità di conversione di pene pecuniarie –

 

Le pene della multa e dell’ammenda, non eseguite per insolvibilità del condannato, si convertono a norma di legge.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689. Precedentemente la Corte costituzionale, con sentenza 21 novembre 1979, n. 131, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.

 

 

 

Art. 137

 

– Custodia cautelare –

 

La carcerazione sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile si detrae dalla durata complessiva della pena temporanea detentiva o dall’ammontare della pena pecuniaria.

 

La custodia cautelare è considerata, agli effetti della detrazione, come reclusione od arresto.

 

 

 

 

Art. 138

 

– Pena e custodia cautelare per reati commessi all’estero –

 

Quando il giudizio seguito all’estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all’estero è sempre computata, tenendo conto della specie di essa; e, se vi è stata all’estero custodia cautelare, si applicano le disposizioni dell’articolo precedente.

 

 

 

Art. 139

 

– Computo delle pene accessorie –

 

Nel computo delle pene accessorie temporanee non si tien conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva, o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva, nè del tempo in cui egli si è sottratto volontariamente alla esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

 

 

 

Art. 140

 

Articolo abrogato dall’art. 217 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura penale.

 

 

 

 

Capo II: DELLA ESECUZIONE DELLA PENA

 

Art. 141

 

Articolo abrogato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354.

 

 

 

 

Art. 142

 

Articolo abrogato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354.

 

Art. 143

 

Articolo abrogato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354.

 

 

 

 

Art. 144

 

Articolo abrogato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354.

 

 

 

 

Art. 145

 

– Remunerazione ai condannati per il lavoro prestato –

 

Negli stabilimenti penitenziari, ai condannati è corrisposta una remunerazione per il lavoro prestato.

 

Sulla remunerazione, salvo che l’adempimento delle obbligazioni sia altrimenti eseguito, sono prelevate nel seguente ordine:

 

  • le somme dovute a titolo di risarcimento del danno;

 

  • le spese che lo Stato sostiene per il mantenimento del condannato;

 

  • le somme dovute a titolo di rimborso delle spese del procedimento.

 

In ogni caso, deve essere riservata a favore del condannato una quota pari a un terzo della remunerazione, a titolo di peculio. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a sequestro.

 

 

 

Art. 146

 

– Rinvio obbligatorio della esecuzione della pena –

 

L’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita:

 

  • se deve aver luogo contro donna incinta;

 

  • se deve aver luogo contro donna che ha partorito da meno di sei mesi;

 

  • se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da infezione da HIV nei casi di incompatibilità con lo stato di detenzione ai sensi dell’art. 286 bis, comma 1, del codice di procedura penale (1) .

 

Nel caso preveduto dal n. 2 il provvedimento è revocato, qualora il figlio muoia o sia affidato a persona diversa dalla madre, e il parto sia avvenuto da oltre due mesi.

 

  • Numero aggiunto dall’art. 2, D.L. 14 maggio 1993, n. 139. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 18 ottobre 1995, n. 438, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente numero nella parte in cui prevede che il differimento ha luogo anche quando l’espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio della salute del soggetto e di quella degli altri detenuti.

 

 

 

Art. 147

 

– Rinvio facoltativo della esecuzione della pena –

 

L’esecuzione di una pena può essere differita:

 

  • se è presentata domanda di grazia, e l’esecuzione della pena non deve essere differita a norma dell’articolo precedente;

 

  • se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;

 

  • se una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita contro donna, che ha partorito da più di sei mesi ma da meno di un anno, e non vi è modo di affidare il figlio ad altri che alla madre.

 

Nel caso indicato nel n. 1, la esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore complessivamente a sei mesi, a decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è successivamente rinnovata.

 

Nel caso indicato nel n. 3, il provvedimento è revocato, qualora il figlio muoia o sia affidato ad altri che alla madre.

 

 

 

Art. 148

 

– Infermità psichica sopravvenuta al condannato –

 

Se, prima dell’esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale o durante l’esecuzione, sopravviene al condannato una infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l’infermità sia tale da impedire l’esecuzione della pena, ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un manicomio giudiziario, ovvero in una casa di cura e di custodia. Il giudice può disporre che il condannato, invece che in un manicomio giudiziario, sia ricoverato in un manicomio comune se la pena inflittagli sia inferiore a tre anni di reclusione o di arresto, e non si tratti di delinquente o contravventore abituale, o professionale, o di delinquente per tendenza.

 

La disposizione precedente si applica anche nel caso in cui, per infermità psichica sopravvenuta, il condannato alla pena di morte (1) deve essere ricoverato in un manicomio giudiziario.

 

Il provvedimento di ricovero è revocato, e il condannato è sottoposto alla esecuzione della pena, quando sono venute meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 19 giugno 1975, n. 146, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui prevede che il giudice, nel disporre il ricovero in manicomio giudiziario del condannato caduto in stato di infermità psichica durante l’esecuzione di pena restrittiva della libertà personale, ordini che la pena medesima sia sospesa; ha dichiarato altresì l’illegittimità nella parte in cui prevede che il giudice ordini la sospensione della pena anche nel caso in cui il condannato sia ricoverato in una casa di cura e di custodia ovvero in un manicomio comune.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 149

 

Articolo abrogato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354.

 

Titolo VI: DELLA ESTINZIONE DEL REATO E DELLA PENA

 

Capo I: DELLA ESTINZIONE DEL REATO

 

Art. 150

 

– Morte del reo prima della condanna –

 

La morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato.

 

 

 

 

Art. 151

 

– Amnistia –

 

L’amnistia estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie (1) .

 

Nel concorso di più reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta.

 

La estinzione del reato per effetto dell’amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.

 

L’amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.

 

L’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, nè ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 14 luglio 1971, n. 175, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui esclude la rinuncia, con le conseguenze indicate in motivazione, all’applicazione dell’amnistia.

 

 

 

Art. 152

 

– Remissione della querela –

 

Nei delitti punibili a querela della persona offesa, la remissione estingue il reato.

 

La remissione è processuale o extraprocessuale. La remissione extraprocessuale è espressa o tacita. Vi è remissione tacita, quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela.

 

La remissione può intervenire solo prima della condanna, salvi i casi per i quali la legge disponga altrimenti.

 

La remissione non può essere sottoposta a termini o a condizioni. Nell’atto di remissione può essere fatta rinuncia al diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno.

 

 

 

Art. 153

 

 

– Esercizio del diritto di remissione. Incapace –


Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione di infermità di mente, il diritto di remissione è esercitato dal loro legale rappresentante.

 

I minori, che hanno compiuto gli anni quattordici, e gli inabilitati possono esercitare il diritto di remissione, anche quando la querela è stata proposta dal rappresentante, ma, in ogni caso, la remissione non ha effetto senza l’approvazione di questo.

 

Il rappresentante può rimettere la querela proposta da lui o dal rappresentato, ma la remissione non ha effetto, se questi manifesta volontà contraria.

 

Le disposizioni dei capoversi precedenti si applicano anche nel caso in cui il minore raggiunge gli anni quattordici, dopo che è stata proposta la querela.

 

 

 

Art. 154

 

– Più querelanti: remissione di uno solo –

 

Se la querela è stata proposta da più persone, il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti.

 

Se tra più persone offese da un reato taluna soltanto ha proposto querela, la remissione, che questa ha fatto, non pregiudica il diritto di querela delle altre.

 

 

 

Art. 155

 

– Accettazione della remissione –

 

La remissione non produce effetto, se il querelato l’ha espressamente o tacitamente ricusata. Vi è ricusa tacita, quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione.

 

La remissione fatta a favore anche di uno soltanto fra coloro che hanno commesso il reato si estende a tutti, ma non produce effetto per chi l’abbia ricusata.

 

Per quanto riguarda la capacità di accettare la remissione, si osservano le disposizioni dell’articolo 153.

 

Se il querelato è un minore o un infermo di mente, e nessuno ne ha la rappresentanza, ovvero chi la esercita si trova con esso in conflitto di interessi, la facoltà di accettare la remissione è esercitata da un curatore speciale.

 

 

 

Art. 156

 

– Estinzione del diritto di remissione –

 

Il diritto di remissione si estingue con la morte della persona offesa dal reato.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 19 giugno 1975, n. 151, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non attribuisce l’esercizio del diritto di remissione della querela agli eredi della persona offesa dal reato, allorchè tutti vi consentano.

 

Art. 157

 

– Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere –

 

La prescrizione estingue il reato:

 

  • in venti anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni;

 

  • in quindici anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni;

 

  • in dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni;

 

  • in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa;

 

  • in tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’arresto;

 

  • in due anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’ammenda (1) .

 

Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti.

 

Nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell’articolo 69.

 

Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e quella pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.

 

N.B.: La Corte costituzioanle, con sentenza 31 maggio 1990, n. 275, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede che l’imputato possa rinunziare alla prescrizione del reato.

 

(1) Numero così modificato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 158

 

– Decorrenza del termine della prescrizione –

 

Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione.

 

Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno, nei reati punibili a querela, istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato.

 

 

 

Art. 159

 

– Sospensione del corso della prescrizione –


Il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione a procedere, o di questione deferita ad altro giudizio, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge (1).

 

La sospensione del corso della prescrizione, nei casi di autorizzazione a procedere di cui al primo comma, si verifica dal momento in cui il pubblico ministero effettua la relativa richiesta.

 

La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. In caso di autorizzazione a procedere, il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta.

 

Articolo modificato dall’art. 1, L. 5 ottobre 1991, n. 320.

 

(1)Comma così modificato dall’art. 15, comma 2, L. 8 agosto 1995, n. 332.

 

 

 

 

Art. 160

 

– Interruzione del corso della prescrizione –

 

Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.

 

Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio (1).

 

La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà.

 

(1) Comma così sostituito dall’art. 239 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura penale.

 

 

 

 

Art. 161

 

– Effetti della sospensione e della interruzione –

 

La sospensione e la interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.

 

Quando per più reati connessi si procede congiuntamente, la sospensione o la interruzione della prescrizione per taluno di essi ha effetto anche per gli altri.

 

 

 

Art. 162

 

 

– Oblazione nelle contravvenzioni –


Nelle contravvenzioni, per le quali la legge stabilisce la sola pena dell’ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.

 

Il pagamento estingue il reato.

 

Articolo così sostituito dall’art. 7, D.Lgs.Lgt. 5 ottobre 1945, n. 679.

 

 

 

 

Art. 162 bis

 

– Oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative –

 

Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.

 

Con la domanda di oblazione il contravventore deve depositare la somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda.

 

L’oblazione non è ammessa quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell’articolo 99, dall’articolo 104 o dall’articolo 105, nè quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.

 

In ogni altro caso il giudice può respingere con ordinanza la domanda di oblazione, avuto riguardo alla gravità del fatto.

 

La domanda può essere riproposta fino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado.

 

Il pagamento delle somme indicate nella prima parte del presente articolo estingue il reato.

 

Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 163

 

– Sospensione condizionale della pena –

 

Nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all’arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell’articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione.

 

Se il reato è stato commesso da un minore degli anni diciotto, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a tre anni, ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell’articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a tre anni.

 

Se il reato è stato commesso da persona di età superiore agli anni diciotto ma inferiore agli anni ventuno o da chi ha compiuto gli anni settanta, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni e sei mesi ovvero una pena pecuniaria che, sola o

 

congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell’articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni e sei mesi.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 164

 

– Limiti entro i quali è ammessa la sospensione condizionale della pena –

 

La sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.

 

La sospensione condizionale della pena non può essere conceduta:

 

  • a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, nè al delinquente o contravventore abituale o professionale;

 

  • allorchè alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale, perchè il reo è persona che la legge presume socialmente pericolosa.

 

La sospensione condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza, tranne che si tratti della confisca.

 

La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di una volta. Tuttavia il giudice, nell’infliggere una nuova condanna, può disporre la sospensione condizionale qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall’articolo 163 (1).

 

Articolo così sostituito dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 28 aprile 1976, n. 95, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma di questo articolo nella parte in cui non consente la concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna precedente non superi i limiti stabiliti dall’art. 163 del codice penale.

 

 

 

Art. 165

 

– Obblighi del condannato –

 

La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

 

La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente, salvo che ciò sia impossibile.

 

Il giudice nella sentenza stabilisce il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti.

 

Articolo così sostituto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

Art. 166

 

– Effetti della sospensione –

 

La sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie.

 

La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sè sola, motivo per l’applicazione di misure di prevenzione, nè d’impedimento all’accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, nè per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa.

 

Articolo così sostituito dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 167

 

– Estinzione del reato –

 

Se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, ed adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto.

 

Il tal caso non ha luogo la esecuzione delle pene (1).

 

(1)Comma così sostituito dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 168

 

– Revoca della sospensione –

 

Salva la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 164, la sospensione condizionale della pena è revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato:

 

  • commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli;

 

  • riporti un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella pecedentemente sospesa, supera i limiti stabiliti dall’art. 163.

 

Qualora il condannato riporti un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso, a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, non supera i limiti stabiliti dall’art. 163, il giudice, tenuto conto dell’indole e della gravità del reato, può revocare l’ordine di sospensione condizionale della pena.

 

Articolo così sostituito dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99.

 

 

 

 

Art. 169

 

– Perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto –


Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a lire tre milioni (1) , anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.

 

Qualora si proceda al giudizio, il giudice può, nella sentenza, per gli stessi motivi, astenersi dal pronunciare condanna.

 

Le disposizioni precedenti non si applicano nei casi preveduti dal n. 1 del primo capoverso dell’articolo 164.

 

Il perdono giudiziale non può essere conceduto più di una volta (2) .

 

La Corte costituzionale, con sentenza 5 luglio 1973, n. 108, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non consente che possa estendersi il perdono giudiziale ad altri reati che si legano col vincolo della continuazione a quelli per i quali è stato concesso il beneficio.

 

  • Importo ora stabilito dall’art. 19, R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, nel testo modificato dall’art. 112, L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 7 luglio 1976, n. 154, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui esclude che possa concedersi un nuovo perdono giudiziale in caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono, e di pena che, cumulata con quella precedente, non superi i limiti di applicabilità del beneficio.

 

 

 

Art. 170

 

  • Estinzione di un reato che sia presupposto, elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato –

 

Quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all’altro reato.

 

La causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso, non si estende al reato complesso.

 

L’estinzione di taluno fra più reati connessi non esclude, per gli altri, l’aggravamento di pena derivante dalla connessione.

 

 

 

Capo II: DELLA ESTINZIONE DELLA PENA

 

Art. 171

 

– Morte del reo dopo la condanna –

 

La morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue la pena.

 

 

 

 

Art. 172

 

 

– Estinzione delle pene della reclusione e della multa per decorso del tempo –


La pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni.

 

La pena della multa si estingue nel termine di dieci anni.

 

Quando, congiuntamente alla pena della reclusione, è inflitta la pena della multa, per l’estinzione dell’una e dell’altra pena si ha riguardo soltanto al decorso del tempo stabilito per la reclusione.

 

Il termine decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, ovvero dal giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena.

 

Se l’esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per la estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine è scaduto o la condizione si è verificata.

 

Nel caso di concorso di reati si ha riguardo, per l’estinzione della pena, a ciascuno di essi, anche se le pene sono state inflitte con la medesima sentenza.

 

L’estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, o di delinquenti abituali, professionali o per tendenza; ovvero se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole.

 

 

 

Art. 173

 

– Estinzione delle pene dell’arresto e dell’ammenda per decorso del tempo –

 

Le pene dell’arresto e dell’ammenda si estinguono nel termine di cinque anni. Tale termine è raddoppiato se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, ovvero di delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

 

Se, congiuntamente alla pena dell’arresto, è inflitta la pena dell’ammenda, per l’estinzione dell’una e dell’altra pena si ha riguardo soltanto al decorso del termine stabilito per l’arresto.

 

Per la decorrenza del termine si applicano le disposizioni del terzo, quarto e quinto capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

Art. 174

 

– Indulto e grazia –

 

L’indulto o la grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna.

 

Nel concorso di più reati, l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso dei reati.

 

Si osservano, per l’indulto, le disposizioni contenute nei tre ultimi capoversi dell’articolo 151.

 

 

 

 

 

Art. 175

 

– Non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale –

 

Se, con una prima condanna, è inflitta una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a un milione, il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, può ordinare in sentenza che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale (1).

 

La non menzione della condanna può essere altresì concessa quando è inflitta congiuntamente una pena detentiva non superiore a due anni ed una pena pecuniaria che, ragguagliata a norma dell’articolo 135 e cumulata alla pena detentiva, priverebbe complessivamente il condannato della libertà personale per un tempo non superiore a trenta mesi.

 

Se il condannato commette successivamente un delitto, l’ordine di non far menzione della condanna precedente è revocato.

 

Le disposizioni di questo articolo non si applicano quando alla condanna conseguono pene accessorie (2).

 

Articolo sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 7 giugno 1984, n. 155, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma ( nel testo sostituito dalla L. n. 689/1981) , nella parte in cui esclude che possano concedersi ulteriori non menzioni di condanne nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati, nel caso di condanne, per reati anteriormente commessi, a pene che, cumulate con quelle già irrogate, non superino i limiti di applicabilità del beneficio. Successivamente la stessa Corte, con sentenza 17 marzo 1988, n. 304, ha dichiarato l’illegittimità del comma nella parte in cui prevede che la non menzione nel certificato del casellario giudiziale di condanna a sola pena pecuniaria possa essere ordinata dal giudice quando non sia superiore a un milione, anzichè a somma pari a quella risultante dal ragguaglio della pena detentiva di anni due, a norma dell’art. 135 cod. pen.

 

  • Comma è stato abrogato dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19.

 

 

 

 

Art. 176

 

– Liberazione condizionale –

 

Il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni.

 

Se si tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, il condannato, per essere ammesso alla liberazione condizionale, deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli.

 

Il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena.

 

La concessione della liberazione condizionale è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.

 

 

 

Art. 177

 

– Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena –


Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa la esecuzione della misura di sicurezza detentiva cui il condannato stesso sia stato sottoposto con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo. La liberazione condizionale è revocata, se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell’articolo 230, n. 2. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale (1) .

 

Decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all’ergastolo, senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo.

 

Articolo così modificato dalla L. 25 novembre 1962, n. 1634.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 25 maggio 1989, n. 282, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale nonchè delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo. Successivamente la stessa Corte, con sentenza 4 giugno 1997, n. 161, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, ultimo periodo, nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell’ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i relativi presupposti.

 

 

 

Art. 178

 

– Riabilitazione –

 

La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti.

 

 

 

Art. 179

 

– Condizioni per la riabilitazione –

 

La riabilitazione è conceduta quando siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Il termine è di dieci anni se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99.

 

Il termine è, parimenti, di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza e decorre dal giorno in cui sia stato revocato l’ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro.

 

La riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato:

 

  • sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;

 

  • non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.

 

 

 

 

Art. 180

 

– Revoca della sentenza di riabilitazione –

 

La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro cinque anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, od un’altra pena più grave.

 

 

 

Art. 181

 

– Riabilitazione nel caso di condanna all’estero –

 

Le disposizioni relative alla riabilitazione si applicano anche nel caso di sentenze straniere di condanna, riconosciute a norma dell’articolo 12.

 

 

 

Capo III: DISPOSIZIONI COMUNI

 

Art. 182

 

– Effetti delle cause di estinzione del reato o della pena –

 

Salvo che la legge disponga altrimenti, l’estinzione del reato o della pena ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce.

 

 

 

Art. 183

 

– Concorso di cause estintive –

 

Le cause di estinzione del reato o della pena operano nel momento in cui esse intervengono.

 

Nel concorso di una causa che estingue il reato con una causa che estingue la pena, prevale la causa che estingue il reato, anche se è intervenuta successivamente.

 

Quando intervengono in tempi diversi più cause di estinzione del reato o della pena, la causa antecedente estingue il reato o la pena, e quelle successive fanno cessare gli effetti che non siano ancora estinti in conseguenza della causa antecedente.

 

Se più cause intervengono contemporaneamente, la causa più favorevole opera l’estinzione del reato o della pena; ma anche in tal caso, per gli effetti che non siano estinti in conseguenza della causa più favorevole, si applica il capoverso precedente.

 

 

 

Art. 184

 

– Estinzione della pena di morte, dell’ergastolo o di pene temporanee nel caso di concorso di reati –

 

Quando, per effetto di amnistia, indulto o grazia, la pena di morte o dell’ergastolo è estinta, la pena detentiva temporanea, inflitta per il reato concorrente, è eseguita per intero. Nondimeno, se il condannato ha già interamente subito l’isolamento diurno, applicato a norma del capoverso dell’articolo 72, la pena per il reato concorrente è ridotta alla metà; ed è estinta, se il condannato è stato detenuto per oltre trenta anni.

 

Se, per effetto di alcuna delle dette cause estintive, non deve essere scontata la pena detentiva temporanea inflitta, per il reato concorrente, al condannato all’ergastolo, non si applica l’isolamento diurno, stabilito nel capoverso dell’articolo 72. Se la pena detentiva deve essere scontata solo in parte, il periodo dell’isolamento diurno, applicato a norma del predetto articolo, può essere ridotto fino a tre mesi.

 

 

 

Titolo VII: DELLE SANZIONI CIVILI

 

Art. 185

 

– Restituzioni e risarcimento del danno –

 

Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili.

 

Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.

 

 

 

Art. 186

 

– Riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza di condanna –

 

Oltre quanto prescritto nell’articolo precedente e in altre disposizioni di legge, ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato.

 

 

 

Art. 187

 

– Indivisibilità e solidarietà nelle obbligazioni “ex delicto” –

 

L’obbligo alle restituzioni e alla pubblicazione della sentenza penale di condanna è indivisibile.

 

I condannati per uno stesso reato sono obbligati in solido al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale.

 

 

 

Art. 188

 

– Spese per il mantenimento del condannato. Obbligo al rimborso –

 

Il condannato è obbligato a rimborsare all’erario dello Stato le spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena, e risponde di tale obbligazione con tutti i suoi beni mobili e immobili, presenti e futuri, a norma delle leggi civili.

 

L’obbligazione non si estende alla persona civilmente responsabile, e non si trasmette agli eredi del condannato.

 

 

 

 

Art. 189

 

– Ipoteca legale; sequestro –

 

Lo Stato ha ipoteca legale sui beni dell’imputato a garanzia del pagamento:

 

  • delle pene pecuniarie e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato;

 

  • delle spese del procedimento;

 

  • delle spese relative al mantenimento del condannato negli stabilimenti di pena;

 

  • delle spese sostenute da un pubblico istituto sanitario, a titolo di cura e di alimenti per la persona offesa, durante l’infermità;

 

  • delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, comprese le spese processuali;

 

  • delle spese anticipate dal difensore e delle somme a lui dovute a titolo di onorario.

 

L’ipoteca legale non pregiudica il diritto degli interessati a iscrivere ipoteca giudiziale, dopo la sentenza di condanna, anche se non divenuta irrevocabile.

 

Se vi è fondata ragione di temere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni per le quali è ammessa l’ipoteca legale, può essere ordinato il sequestro dei beni mobili dell’imputato.

 

Gli effetti dell’ipoteca o del sequestro cessano con la sentenza irrevocabile di proscioglimento.

 

Se l’imputato offre cauzione, può non farsi luogo alla iscrizione della ipoteca legale o al sequestro.

 

Per effetto del sequestro i crediti indicati in questo articolo si considerano privilegiati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato di data anteriore e ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento di tributi.

 

 

 

Art. 190

 

– Garanzie sui beni della persona civilmente responsabile –

 

Le garanzie stabilite nell’articolo precedente si estendono anche ai beni della persona civilmente responsabile, limitatamente ai crediti indicati nei numeri 2, 4 e 5 del predetto articolo, qualora, per la ipoteca legale, sussistano le condizioni richieste per la iscrizione sui beni dell’imputato, e qualora, per il sequestro, concorrano, riguardo alla persona civilmente responsabile, le circostanze indicate nel secondo capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

Art. 191

 

– Ordine dei crediti garantiti con ipoteca o sequestro –

 

Sul prezzo degli immobili ipotecati e dei mobili sequestrati a norma dei due articoli precedenti, e sulle somme versate a titolo di cauzione e non devolute alla Cassa delle ammende, sono pagate nell’ordine seguente:

 

  • le spese sostenute da un pubblico istituto sanitario, a titolo di cura e di alimenti per la persona offesa, durante l’infermità;

 

  • le somme dovute a titolo di risarcimento di danni e di spese processuali al danneggiato, purchè il pagamento ne sia richiesto entro un anno dal giorno in cui la sentenza penale di condanna sia divenuta irrevocabile;

 

  • le spese anticipate dal difensore del condannato e la somma a lui dovuta a titolo di onorario;

 

  • le spese del procedimento;

 

  • le spese per il mantenimento del condannato negli stabilimenti di pena.

 

Se l’esecuzione della pena non ha ancora avuto luogo, in tutto o in parte, è depositata nella Cassa delle ammende una somma presumibilmente adeguata alle spese predette;

 

6) le pene pecuniarie e ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato.

 

 

 

 

Art. 192

 

– Atti a titolo gratuito compiuti dal colpevole dopo il reato –

 

Gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno efficacia rispetto ai crediti indicati nell’articolo 189.

 

 

 

Art. 193

 

– Atti a titolo oneroso compiuti dal colpevole dopo il reato –

 

Gli atti a titolo oneroso, eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell’ordinario commercio, i quali siano compiuti dal colpevole dopo il reato, si presumono fatti in frode rispetto ai crediti indicati nell’articolo 189.

 

Nondimeno, per la revoca dell’atto, è necessaria la prova della mala fede dell’altro contraente.

 

 

 

 

Art. 194

 

– Atti a titolo oneroso o gratuito compiuti dal colpevole prima del reato –

 

Gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole prima del reato, non sono efficaci rispetto ai crediti indicati nell’articolo 189, qualora si provi che furono da lui compiuti in frode.

 

La stessa disposizione si applica agli atti a titolo oneroso eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell’ordinario commercio; nondimeno, per la revoca dell’atto a titolo oneroso, è necessaria la prova anche della mala fede dell’altro contraente.

 

Le disposizioni di questo articolo non si applicano per gli atti anteriori di un anno al commesso reato.

 

 

 

 

Art. 195

 

 

– Diritti dei terzi –


Nei casi preveduti dai tre articoli precedenti, i diritti dei terzi sono regolati dalle leggi civili.

 

 

 

 

Art. 196

 

– Obbligazione civile per le multe e le ammende inflitte a persona dipendente –

 

Nei reati commessi da chi è soggetto all’altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell’autorità, o incaricata della direzione o vigilanza, è obbligata, in caso di insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di violazioni di disposizioni che essa era tenuta a far osservare, e delle quali non debba rispondere penalmente.

 

Qualora la persona preposta risulti insolvibile, si applicano al condannato le disposizioni dell’art. 136.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 197

 

– Obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle multe e delle ammende –

 

Gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le regioni, le province ed i comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza o l’amministrazione, o sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta.

 

Se tale obbligazione non può essere adempiuta, si applicano al condannato le disposizioni dell’articolo 136.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 198

 

– Effetti della estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili –

 

L’estinzione del reato o della pena non importa la estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si tratti delle obbligazioni indicate nei due articoli precedenti.

 

 

 

Titolo VIII: DELLE MISURE AMMINISTRATIVE DI SICUREZZA

 

Capo I: DELLE MISURE DI SICUREZZA PERSONALI

 

Sezione I: DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 199

 

– Sottoposizione a misure di sicurezza: disposizione espressa di legge –


Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti.

 

 

 

Art. 200

 

– Applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, al territorio e alle persone –

 

Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione.

 

Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione.

 

Le misure di sicurezza si applicano anche agli stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato.

 

Tuttavia l’applicazione di misure di sicurezza allo straniero non impedisce l’espulsione di lui dal territorio dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza.

 

 

 

Art. 201

 

– Misure di sicurezza per fatti commessi all’estero –

 

Quando, per un fatto commesso all’estero, si procede o si rinnova il giudizio nello Stato, è applicabile la legge italiana anche riguardo alle misure di sicurezza.

 

Nel caso indicato nell’articolo 12, n. 3, l’applicazione delle misure di sicurezza stabilite dalla legge italiana è sempre subordinata all’accertamento che la persona sia socialmente pericolosa.

 

 

 

Art. 202

 

– Applicabilità delle misure di sicurezza –

 

Le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.

 

La legge penale determina i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.

 

 

 

Art. 203

 

– Pericolosità sociale –

 

Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.

 

La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133.

 

Art. 204

 

Articolo abrogato dalla L. 10 ottobre 1986, n. 663.

 

 

 

 

Art. 205

 

– Provvedimento del giudice –

 

Le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento.

 

Possono essere ordinate con provvedimento successivo:

 

  • nel caso di condanna, durante l’esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena;

 

  • nel caso di proscioglimento, qualora la qualità di persona socialmente pericolosa sia presunta, e non sia decorso un tempo corrispondente alla durata minima della relativa misura di sicurezza (1);

 

  • in ogni tempo, nei casi stabiliti dalla legge.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 27 luglio 1982, n. 139, la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente cpv. n. 2, nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell’imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o della esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura.

 

 

 

Art. 206

 

– Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza –

 

Durante la istruzione o il giudizio, può disporsi che il minore di età, o l’infermo di mente, o l’ubriaco abituale, o la persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti, o in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti, siano provvisoriamente ricoverati in un riformatorio, o in un manicomio giudiziale, o in una casa di cura e di custodia.

 

Il giudice revoca l’ordine, quando ritenga che tali persone non siano più socialmente pericolose.

 

Il tempo dell’esecuzione provvisoria della misura di sicurezza è computato nella durata minima di essa.

 

 

 

 

Art. 207

 

– Revoca delle misure di sicurezza personali –

 

Le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose.

 

La revoca non può essere ordinata se non è decorso un tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge per ciascuna misura di sicurezza (1).

 

L’articolo comprendeva un terzo comma abrogato dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, che precedentemente, la Corte costituzionale, con sentenza 23 aprile 1974, n. 110, aveva dichiarato illegittimo nella parte in cui attribuiva al Ministro di grazia e giustizia – anzichè al giudice di sorveglianza – il potere di revocare le misure di sicurezza.

 

(1)La Corte costituzionale, con sentenza 23 aprile 1974, n. 110, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui non consente la revoca delle misure di sicurezza prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.

 

 

 

Art. 208

 

– Riesame della pericolosità –

 

Decorso il periodo minimo di durata, stabilito dalla legge per ciascuna misura di sicurezza, il giudice riprende in esame le condizioni della persona che vi è sottoposta, per stabilire se essa è ancora socialmente pericolosa.

 

Qualora la persona risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Nondimeno, quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato, il giudice può, in ogni tempo, procedere a nuovi accertamenti.

 

 

 

Art. 209

 

– Persona giudicata per più fatti –

 

Quando una persona ha commesso, anche in tempi diversi, più fatti per i quali siano applicabili più misure di sicurezza della medesima specie, è ordinata una sola misura di sicurezza.

 

Se le misure di sicurezza sono di specie diversa, il giudice valuta complessivamente il pericolo che deriva dalla persona e, in relazione ad esso, applica una o più delle misure di sicurezza stabilite dalla legge.

 

Sono in ogni caso applicate le misure di sicurezza detentive, alle quali debba essere sottoposta la persona, a cagione del pericolo presunto dalla legge.

 

Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso di misure di sicurezza in corso di esecuzione, o delle quali non siasi ancora iniziata l’esecuzione.

 

 

 

Art. 210

 

– Effetti della estinzione del reato o della pena –

 

La estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione.

 

L’estinzione della pena impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza, eccetto quelle per le quali la legge stabilisce che possono essere ordinate in ogni tempo, ma non impedisce l’esecuzione delle misure di sicurezza che sono state già ordinate dal giudice come misure accessorie di una condanna alla pena della reclusione superiore a dieci anni. Nondimeno, alla colonia agricola e alla casa di lavoro è sostituita la libertà vigilata.

 

Qualora per effetto di indulto o di grazia non debba essere eseguita la pena di morte (1) , ovvero, in tutto o in parte, la pena dell’ergastolo, il condannato è sottoposto a libertà vigilata per un tempo non inferiore a tre anni.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 211

 

– Esecuzione delle misure di sicurezza –

 

Le misure di sicurezza aggiunte a una pena detentiva sono eseguite dopo che la pena è stata scontata o è altrimenti estinta.

 

Le misure di sicurezza, aggiunte a pena non detentiva, sono eseguite dopo che la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile.

 

L’esecuzione delle misure di sicurezza temporanee non detentive, aggiunte a misure di sicurezza detentive, ha luogo dopo la esecuzione di queste ultime.

 

 

 

Art. 212

 

– Casi di sospensione o di trasformazione di misure di sicurezza –

 

L’esecuzione di una misura di sicurezza applicata a persona imputabile è sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo l’esecuzione della pena.

 

Se la persona sottoposta a una misura di sicurezza detentiva è colpita da un’infermità psichica, il giudice ne ordina il ricovero in un manicomio giudiziario, ovvero in una casa di cura e di custodia.

 

Quando sia cessata la infermità, il giudice, accertato che la persona è socialmente pericolosa, ordina che essa sia assegnata ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero a un riformatorio giudiziario, se non crede di sottoporla a libertà vigilata.

 

Se l’infermità psichica colpisce persona sottoposta a misura di sicurezza non detentiva o a cauzione di buona condotta, e l’infermo viene ricoverato in un manicomio comune, cessa l’esecuzione di dette misure. Nondimeno, se si tratta di persona sottoposta a misura di sicurezza personale non detentiva, il giudice, cessata l’infermità, procede a nuovo accertamento ed applica una misura di sicurezza personale non detentiva qualora la persona risulti ancora pericolosa.

 

 

 

Art. 213

 

  • Stabilimenti destinati alla esecuzione delle misure di sicurezza detentive. Regime educativo, curativo e di lavoro –

 

Le misure di sicurezza detentive sono eseguite negli stabilimenti a ciò destinati.

 

Le donne sono assegnate a stabilimenti separati da quelli destinati agli uomini.

 

In ciascuno degli stabilimenti è adottato un particolare regime educativo o curativo e di lavoro, avuto riguardo alle tendenze e alle abitudini criminose della persona e, in genere, al pericolo sociale che da essa deriva.

 

Il lavoro è remunerato. Dalla remunerazione è prelevata una quota per il rimborso delle spese di mantenimento.

 

Per quanto concerne il mantenimento dei ricoverati nei manicomi giudiziari, si osservano le disposizioni sul rimborso delle spese di spedalità.

 

 

 

Art. 214

 

– Inosservanza delle misure di sicurezza detentive –

 

Nel caso in cui la persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva si sottrae volontariamente alla esecuzione di essa, ricomincia a decorrere il periodo minimo di durata della misura di sicurezza dal giorno in cui a questa è data nuovamente esecuzione.

 

Tale disposizione non si applica nel caso di persona ricoverata in un manicomio giudiziario o in una casa di cura e di custodia.

 

 

 

Sezione II: DISPOSIZIONI SPECIALI

 

Art. 215

 

– Specie –

 

Le misure di sicurezza personali si distinguono in detentive e non detentive.

 

Sono misure di sicurezza detentive:

 

  • l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro;

 

  • il ricovero in una casa di cura e di custodia;

 

  • il ricorso in un manicomio giudiziario;

 

  • il ricovero in un riformatorio giudiziario.

 

Sono misure di sicurezza non detentive:

 

  • la libertà vigilata:

 

  • il divieto di soggiorno in uno o più Comuni, o in una o più Province;

 

  • il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche;

 

  • l’espulsione dello straniero dallo Stato.

 

Quando la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la specie, il giudice dispone che si applichi la libertà vigilata, a meno che, trattandosi di un condannato per delitto, ritenga di disporre l’assegnazione di lui a una colonia agricola o ad una casa di lavoro.

 

 

 

 

Art. 216

 

– Assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro –

 

Sono assegnati ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro:

 

  • coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;

 

  • coloro che, essendo stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, e non essendo più sottoposti a misura di sicurezza, commettono un nuovo delitto, non colposo, che sia nuova manifestazione della abitualità, della professionalità o della tendenza a delinquere;

 

  • le persone condannate o prosciolte, negli altri casi indicati espressamente nella legge.

 

 

 

 

Art. 217

 

– Durata minima –

 

La assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro ha la durata minima di un anno. Per i delinquenti abituali, la durata minima è di due anni, per i delinquenti professionali di tre anni, ed è di quattro anni per i delinquenti per tendenza.

 

 

 

Art. 218

 

– Esecuzione –

 

Nelle colonie agricole e nelle case di lavoro i delinquenti abituali o professionali e quelli per tendenza sono assegnati a sezioni speciali.

 

Il giudice stabilisce se la misura di sicurezza debba essere eseguita in una colonia agricola, ovvero in una casa di lavoro, tenuto conto delle condizioni e attitudini della persona a cui il provvedimento si riferisce. Il provvedimento può essere modificato nel corso della esecuzione.

 

 

 

Art. 219

 

– Assegnazione a una casa di cura e di custodia –

 

Il condannato, per un delitto non colposo, a una pena diminuita per cagione di infermità psichica, o di cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per cagione di sordomutismo, è ricoverato in una casa di cura e di custodia per un tempo non inferiore a un anno, quando la pena stabilita dalla legge non è inferiore nel minimo a cinque anni di reclusione (1) .

 

Se per il delitto commesso è stabilita dalla legge la pena di morte (2) o la pena dell’ergastolo, ovvero la reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, la misura di sicurezza è ordinata per un tempo non inferiore a tre anni (1).

 

Se si tratta di un altro reato, per il quale la legge stabilisce la pena detentiva, e risulta che il condannato è persona socialmente pericolosa, il ricovero in una casa di cura e di custodia è ordinato per un tempo non inferiore a sei mesi; tuttavia il giudice può sostituire alla misura del ricovero quella della libertà vigilata. Tale sostituzione non ha luogo, qualora si tratti di condannati a pena diminuita per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti (3).

 

Quando deve essere ordinato il ricovero in una casa di cura e di custodia, non si applica altra misura di sicurezza detentiva.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 28 luglio 1983, n. 249, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell’imputato condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima, al tempo dell’applicazione della misura di sicurezza, e ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, del secondo comma nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell’imputato condannato ad una pena diminuita per cagione di infermità psichica per un delitto per il quale è stabilita dalla legge la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima, al tempo della applicazione della misura di sicurezza.

 

  • La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 13 dicembre 1988, n. 1102, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui, per i casi ivi previsti, subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia al previo accertamento della pericolosità sociale derivante dalla seminfermità di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta e non anche nel momento della sua esecuzione.

 

 

 

Art. 220

 

– Esecuzione dell’ordine di ricovero –

 

L’ordine di ricovero del condannato nella casa di cura e di custodia è eseguito dopo che la pena restrittiva della libertà personale sia stata scontata o sia altrimenti estinta.

 

Il giudice, nondimeno, tenuto conto delle particolari condizioni di infermità psichica del condannato, può disporre che il ricovero venga eseguito prima che sia iniziata o abbia termine la esecuzione della pena restrittiva della libertà personale.

 

Il provvedimento è revocato quando siano venute meno le ragioni che lo determinarono, ma non prima che sia decorso il termine minimo stabilito nell’articolo precedente.

 

Il condannato, dimesso dalla casa di cura e di custodia, è sottoposto all’esecuzione della pena.

 

 

 

 

Art. 221

 

– Ubriachi abituali –

 

Quando non debba essere ordinata altra misura di sicurezza detentiva, i condannati alla reclusione per delitti commessi in stato di ubriachezza, qualora questa sia abituale, o per delitti commessi sotto l’azione di sostanze stupefacenti all’uso delle quali siano dediti, sono ricoverati in una casa di cura e di custodia.

 

Tuttavia, se si tratta di delitti per i quali sia stata inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, al ricovero in una casa di cura e di custodia può essere sostituita la libertà vigilata.

 

Il ricovero ha luogo in sezioni speciali, e ha la durata minima di sei mesi.

 

Art. 222

 

– Ricovero in un manicomio giudiziario –

 

Nel caso di proscioglimento per infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per sordomutismo, è sempre ordinato il ricovero dell’imputato in un manicomio giudiziario per un tempo non inferiore a due anni; salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi o di altri delitti per i quali la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore nel massimo a due anni, nei quali casi la sentenza di proscioglimento è comunicata all’autorità di pubblica sicurezza (1).

 

La durata minima del ricovero nel manicomio giudiziario è di dieci anni, se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena di morte (2) o l’ergastolo, ovvero di cinque se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a dieci anni.

 

Nel caso in cui la persona ricoverata in un manicomio giudiziario debba scontare una pena restrittiva della libertà personale, l’esecuzione di questa è differita fino a che perduri il ricovero nel manicomio.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai minori degli anni quattordici o maggiori dei quattordici e minori dei diciotto, prosciolti per ragione di età, quando abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato, trovandosi in alcuna delle condizioni indicate nella prima parte dell’articolo stesso.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 27 luglio 1982, n. 139, la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell’imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento da parte del giudice della cognizione o della esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell’applicazione della misura.

 

  • La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 223

 

– Ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario –

 

Il ricovero in un riformatorio giudiziario è misura di sicurezza speciale per i minori, e non può avere durata inferiore a un anno.

 

Qualora tale misura di sicurezza debba essere, in tutto o in parte, applicata o eseguita dopo che il minore abbia compiuto gli anni diciotto, ad essa è sostituita la libertà vigilata, salvo che il giudice ritenga di ordinare l’assegnazione a una colonia agricola, o ad una casa di lavoro.

 

 

 

Art. 224

 

– Minore non imputabile –

 

Qualora il fatto commesso da un minore degli anni quattordici sia preveduto dalla legge come delitto, ed egli sia pericoloso, il giudice, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, ordina che questi sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata.

 

Se, per il delitto, la legge stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, e non si tratta di delitto colposo, è sempre ordinato il ricovero del minore nel riformatorio per un tempo non inferiore a tre anni (2).

 

Le disposizioni precedenti si applicano anche al minore che, nel momento in cui ha commesso il fatto preveduto dalla legge come delitto, aveva compiuto gli anni quattordici, ma non ancora i diciotto, se egli sia riconosciuto non imputabile, a norma dell’articolo 98.

 

  • La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 20 gennaio 1971, n. 1, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma nella parte in cui rende obbligatorio ed automatico, per i minori degli anni 14, il ricovero, per almeno tre anni, in riformatorio giudiziario.

 

 

 

Art. 225

 

– Minore imputabile –

 

Quando il minore che ha compiuto gli anni quattordici, ma non ancora i diciotto, sia riconosciuto imputabile, il giudice può ordinare che, dopo l’esecuzione della pena, egli sia ricoverato in un riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata, tenuto conto delle circostanze indicate nella prima parte dell’articolo precedente.

 

  • sempre applicata una delle predette misure di sicurezza al minore che sia condannato per delitto durante la esecuzione di una misura di sicurezza, a lui precedentemente applicata per difetto d’imputabilità.

 

 

 

Art. 226

 

– Minore delinquente abituale, professionale o per tendenza –

 

Il ricovero in un riformatorio giudiziario è sempre ordinato per il minore degli anni diciotto, che sia delinquente abituale o professionale, ovvero delinquente per tendenza; e non può avere durata inferiore a tre anni. Quando egli ha compiuto gli anni ventuno, il giudice ne ordina l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro.

 

La legge determina gli altri casi nei quali deve essere ordinato il ricovero del minore in un riformatorio giudiziario.

 

 

 

Art. 227

 

– Riformatori speciali –

 

Quando la legge stabilisce che il ricovero in un riformatorio giudiziario sia ordinato senza che occorra accertare che il minore è socialmente pericoloso, questi è assegnato ad uno stabilimento speciale o ad una sezione speciale degli stabilimenti ordinari.

 

Può altresì essere assegnato ad uno stabilimento speciale o ad una sezione speciale degli stabilimenti ordinari il minore che, durante il ricovero nello stabilimento ordinario, si sia rivelato particolarmente pericoloso.

 

 

 

Art. 228

 

 

– Libertà vigilata –


La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata è affidata all’autorità di pubblica sicurezza.

 

Alla persona in stato di libertà vigilata sono imposte dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati.

 

Tali prescrizioni possono essere dal giudice successivamente modificate o limitate.

 

La sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale.

 

La libertà vigilata non può avere durata inferiore a un anno.

 

Per la vigilanza sui minori si osservano le disposizioni precedenti, in quanto non provvedano leggi speciali.

 

 

 

 

Art. 229

 

– Casi nei quali può essere ordinata la libertà vigilata –

 

Oltre quanto è prescritto da speciali disposizioni di legge, la libertà vigilata può essere ordinata:

 

  • nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a un anno;

 

  • nei casi in cui questo codice autorizza una misura di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.

 

 

 

Art. 230

 

– Casi nei quali deve essere ordinata la libertà vigilata –

 

La libertà vigilata è sempre ordinata:

 

  • se è inflitta la pena della reclusione per non meno di dieci anni: e non può, in tal caso, avere durata inferiore a tre anni;

 

  • quando il condannato è ammesso alla liberazione condizionale;

 

  • se il contravventore abituale o professionale, non essendo più sottoposto a misure di sicurezza, commette un nuovo reato, il quale sia nuova manifestazione di abitualità o professionalità;

 

  • negli altri casi determinati dalla legge.

 

Nel caso in cui sia stata disposta l’assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro, il giudice, al termine dell’assegnazione, può ordinare che la persona da dimettere sia posta in libertà vigilata, ovvero può obbligarla a cauzione di buona condotta.

 

 

 

Art. 231

 

– Trasgressione degli obblighi imposti –


Fuori del caso preveduto dalla prima parte dell’articolo 177, quando la persona in stato di libertà vigilata trasgredisce agli obblighi imposti, il giudice può aggiungere alla libertà vigilata la cauzione di buona condotta.

 

Avuto riguardo alla particolare gravità della trasgressione o al ripetersi della medesima, ovvero qualora il trasgressore non presti la cauzione, il giudice può sostituire alla libertà vigilata l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di un minore, il ricovero in un riformatorio giudiziario.

 

 

 

Art. 232

 

– Minori o infermi di mente in stato di libertà vigilata –

 

La persona di età minore o in stato di infermità psichica non può essere posta in libertà vigilata, se non quando sia possibile affidarla ai genitori, o a coloro che abbiano obbligo di provvedere alla sua educazione o assistenza, ovvero a istituti di assistenza sociale.

 

Qualora tale affidamento non sia possibile o non sia ritenuto opportuno, è ordinato, o mantenuto, secondo i casi, il ricovero nel riformatorio, o nella casa di cura e di custodia.

 

Se, durante la libertà vigilata, il minore non dà prova di ravvedimento o la persona in stato di infermità psichica si rivela di nuovo pericolosa, alla libertà vigilata è sostituito, rispettivamente, il ricovero in un riformatorio o il ricovero in una casa di cura e di custodia.

 

 

 

Art. 233

 

– Divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province –

 

Al colpevole di un delitto contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero di un delitto commesso per motivi politici o occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo, può essere imposto il divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province, designati dal giudice.

 

Il divieto di soggiorno ha una durata non inferiore a un anno.

 

Nel caso di trasgressione, ricomincia a decorrere il termine minimo, e può essere ordinata inoltre la libertà vigilata.

 

 

 

Art. 234

 

– Divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche –

 

Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche ha la durata minima di un anno.

 

Il divieto è sempre aggiunto alla pena, quando si tratta di condannati per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di ubriachezza, sempre che questa sia abituale.

 

Nel caso di trasgressione, può essere ordinata inoltre la libertà vigilata o la prestazione di una cauzione di buona condotta.

 

Art. 235

 

– Espulsione dello straniero dallo Stato –

 

L’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato è ordinata dal giudice, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a dieci anni.

 

Allo straniero che trasgredisce all’ordine di espulsione, pronunciato dal giudice, si applicano le sanzioni stabilite dalle leggi di sicurezza pubblica per il caso di contravvenzione all’ordine di espulsione emanato dall’Autorità amministrativa.

 

 

 

Capo II: DELLE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI

 

Art. 236

 

– Specie: regole generali –

 

Sono misure di sicurezza patrimoniali, oltre quelle stabilite da particolari disposizioni di legge:

 

  • la cauzione di buona condotta;

 

  • la confisca.

 

Si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli articoli 199, 200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte e n. 3 del capoverso, e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del primo e secondo capoverso dell’articolo 200 e quelle dell’articolo 210.

 

Alla cauzione di buona condotta si applicano altresì le disposizioni degli articoli 202, 203, 204, prima parte, e 207.

 

 

 

Art. 237

 

– Cauzione di buona condotta –

 

La cauzione di buona condotta è data mediante deposito, presso la Cassa delle ammende, di una somma non inferiore a lire duecentomila, nè superiore a lire quattro milioni.

 

In luogo del deposito, è ammessa la prestazione di una garanzia mediante ipoteca, o anche mediante fideiussione solidale.

 

La durata della misura di sicurezza non può essere inferiore a un anno, nè superiore a cinque; e decorre dal giorno in cui la cauzione fu prestata.

 

Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 238

 

– Inadempimento dell’obbligo di prestare cauzione –


Qualora il deposito della somma non sia eseguito o la garanzia non sia prestata, il giudice sostituisce alla cauzione la libertà vigilata.

 

 

 

Art. 239

 

– Adempimento o trasgressione dell’obbligo di buona condotta –

 

Se, durante l’esecuzione della misura di sicurezza, chi vi è sottoposto non commette alcun delitto, ovvero alcuna contravvenzione per la quale la legge stabilisce la pena dell’arresto, è ordinata la restituzione della somma depositata o la cancellazione della ipoteca; e la fideiussione si estingue. In caso diverso, la somma depositata, o per la quale fu data garanzia, è devoluta alla Cassa delle ammende.

 

 

 

Art. 240

 

– Confisca –

 

Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

 

È sempre ordinata la confisca:

 

  • delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

 

  • delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

 

Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.

 

La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.

 

 

 

Libro secondo

 

DEI DELITTI IN PARTICOLARE

 

 

 

Titolo I: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ DELLO STATO

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INTERNAZIONALE DELLO STATO

 

Art. 241

 

– Attentati contro la integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato –

 

Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato è punito con la morte (1).

 

Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto a disciogliere l’unità dello Stato, o a distaccare dalla madre Patria una colonia o un altro territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 242

 

– Cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano –

 

Il cittadino che porta le armi contro lo Stato, o presta servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano, è punito con l’ergastolo. Se esercita un comando superiore o una funzione direttiva è punito con la morte (1).

 

Non è punibile chi, trovandosi, durante le ostilità, nel territorio dello Stato nemico, ha commesso il fatto per esservi stato costretto da un obbligo impostogli dalle leggi dello Stato medesimo.

 

Agli effetti delle disposizioni di questo titolo è considerato “cittadino” anche chi ha perduto per qualunque causa la cittadinanza italiana.

 

Agli effetti della legge penale, sono considerati “Stati in guerra” contro lo Stato italiano anche gli aggregati politici che, sebbene dallo Stato italiano non riconosciuti come Stati, abbiano tuttavia il trattamento di belligeranti.

 

(1)La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 243

 

– Intelligenze con lo straniero a scopo di guerra. contro lo Stato italiano –

 

Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinchè uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.

 

Se la guerra segue, si applica la pena di morte (1); se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 244

 

– Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra –

 

Chiunque, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni; se la guerra avviene, è punito con l’ergastolo.

 

Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da due a otto anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

Art. 245

 

– Intelligenze con lo straniero per impegnare lo Stato italiano alla neutralità o alla guerra –

 

Chiunque tiene intelligenze con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano alla dichiarazione o al mantenimento della neutralità, ovvero alla dichiarazione di guerra, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.

 

La pena è aumentata se le intelligenze hanno per oggetto una propaganda col mezzo della stampa.

 

 

 

 

Art. 246

 

– Corruzione del cittadino da parte dello straniero –

 

Il cittadino, che, anche indirettamente, riceve o si fa promettere dallo straniero, per sè o per altri, denaro o qualsiasi utilità, o soltanto ne accetta la promessa, al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni.

 

Alla stessa pena soggiace lo straniero che dà o promette il denaro o l’utilità.

 

La pena è aumentata:

 

  • se il fatto è commesso in tempo di guerra;

 

  • se il denaro o l’utilità sono dati o promessi per una propaganda col mezzo della stampa.

 

 

 

 

Art. 247

 

– Favoreggiamento bellico –

 

Chiunque, in tempo di guerra, tiene intelligenze con lo straniero per favorire le operazioni militari del nemico a danno dello Stato italiano, o per nuocere altrimenti alle operazioni militari dello Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti agli stessi scopi, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni; e, se raggiunge l’intento, con la morte (1).

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 248

 

– Somministrazione al nemico di provvigioni –

 

Chiunque, in tempo di guerra, somministra, anche indirettamente, allo Stato nemico provvigioni, ovvero altre cose, le quali possano essere usate a danno dello Stato italiano, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.

 

Tale disposizione non si applica allo straniero che commette il fatto all’estero.

 

 

 

Art. 249

 

– Partecipazione a prestiti a favore del nemico –

 

Chiunque, in tempo di guerra, partecipa a prestiti o a versamenti a favore dello Stato nemico, o agevola le operazioni ad essi relative, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.

 

Tale disposizione non si applica allo straniero che commette il fatto all’estero.

 

 

 

 

Art. 250

 

– Commercio col nemico –

 

Il cittadino, o lo straniero dimorante nel territorio dello Stato, il quale, in tempo di guerra e fuori dei casi indicati nell’articolo 248, commercia, anche indirettamente, con sudditi dello Stato nemico, ovunque dimoranti, ovvero con altre persone dimoranti nel territorio dello Stato nemico, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa pari al quintuplo del valore della merce e, in ogni caso, non inferiore a lire duemilioni.

 

 

 

Art. 251

 

– Inadempimento di contratti di forniture in tempo di guerra –

 

Chiunque, in tempo di guerra, non adempie in tutto o in parte gli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura di cose o di opere concluso con lo Stato o con un altro ente pubblico o con un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, per i bisogni delle forze armate dello Stato o della popolazione, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa pari al triplo del valore della cosa o dell’opera che egli avrebbe dovuto fornire e, in ogni caso, non inferiore a lire due milioni.

 

Se l’inadempimento, totale o parziale, del contratto è dovuto a colpa, le pene sono ridotte alla metà.

 

Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, allorchè essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno cagionato l’inadempimento del contratto di fornitura.

 

 

 

Art. 252

 

– Frode in forniture in tempo di guerra –

 

Chiunque, in tempo di guerra, commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni e con la multa pari al quintuplo del valore della cosa o dell’opera che avrebbe dovuto fornire, e, in ogni caso, non inferiore a lire quattro milioni.

 

 

 

Art. 253

 

– Distruzione o sabotaggio di opere militari –


Chiunque distrugge, o rende inservibili, in tutto o in parte, anche temporaneamente, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle forze armate dello Stato

 

  • punito con la reclusione non inferiore a otto anni. Si applica la pena di morte (1):

 

1) se il fatto è commesso nell’interesse di uno Stato in guerra contro lo Stato italiano;

 

2) se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 254

 

– Agevolazione colposa –

 

Quando l’esecuzione del delitto preveduto dall’articolo precedente è stata resa possibile, o soltanto agevolata, per colpa di chi era in possesso o aveva la custodia o la vigilanza delle cose ivi indicate, questi è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

 

 

Art. 255

 

– Soppressione, falsificazione o sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato –

 

Chiunque, in tutto o in parte, distrugge o falsifica, ovvero carpisce, sottrae o distrae, anche temporaneamente, atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato od altro interesse politico, interno o internazionale, dello Stato è punito con la reclusione non inferiore a otto anni.

 

Si applica la pena di morte (1) se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 256

 

– Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato –

 

Chiunque si procura notizie che, nell’interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, fra le notizie che debbono rimanere segrete nell’interesse politico dello Stato sono comprese quelle contenute in atti del Governo, da esso non pubblicati per ragioni d’ordine politico, interno o internazionale.

 

Se si tratta di notizie di cui l’Autorità competente ha vietato la divulgazione, la pena è della reclusione da due a otto anni.

 

Si applica la pena di morte (1) se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 257

 

– Spionaggio politico o militare –

 

Chiunque si procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie che, nell’interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.

 

Si applica la pena di morte (1):

 

  • se il fatto è commesso nell’interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano;

 

  • se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 258

 

– Spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione –

 

Chiunque si procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie di cui l’Autorità competente ha vietato la divulgazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.

 

Si applica l’ergastolo se il fatto è commesso nell’interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano.

 

Si applica la pena di morte (1) se il fatto ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 259

 

– Agevolazione colposa –

 

Quando l’esecuzione di alcuni dei delitti preveduti dagli articoli 255, 256, 257 e 258 è stata resa possibile, o soltanto agevolata, per colpa di chi era in possesso dell’atto o documento o a cognizione della notizia, questi è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Si applica la reclusione da tre a quindici anni se sono state compromesse la preparazione o la efficienza bellica dello Stato ovvero le operazioni militari.

 

Le stesse pene si applicano quando l’esecuzione dei delitti suddetti è stata resa possibile o soltanto agevolata per colpa di chi aveva la custodia o la vigilanza dei luoghi o delle zone di terra, di acqua o di aria, nelle quali è vietato l’accesso nell’interesse militare dello Stato.

 

 

 

Art. 260

 

– Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio –

 

È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:

 

  • si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l’accesso nell’interesse militare dello Stato;

 

  • è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuni dei delitti preveduti dagli articoli 256, 257 e 258;

 

  • è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell’articolo 256.

 

Se alcuno dei fatti preveduti dai numeri precedenti è commesso in tempo di guerra, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

Art. 261

 

– Rivelazione di segreti di Stato –

 

Chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto indicate nell’articolo 256 è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.

 

Se il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato o le operazioni militari, la pena della reclusione non può essere inferiore a dieci anni.

 

Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare, si applica, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la pena dell’ergastolo; e, nei casi preveduti dal primo capoverso, la pena di morte (1).

 

Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia.

 

Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle circostanze indicate nel primo capoverso.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 262

 

– Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione –

 

Chiunque rivela notizie, delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni.

 

Se il fatto è commesso in tempo di guerra, ovvero ha compromesso la preparazione o l’efficienza bellica dello Stato o le operazioni militari, la pena è della reclusione non inferiore a dieci anni.

 

Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare, si applica, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la reclusione non inferiore a quindici anni; e, nei casi preveduti dal primo capoverso la pena di morte (1).

 

Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti ai applicano anche a chi ottiene la notizia.

 

Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle circostanze indicate nel primo capoverso.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 263

 

– Utilizzazione dei segreti di Stato –

 

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che impiega a proprio o altrui profitto invenzioni o scoperte scientifiche o nuove applicazioni industriali che egli conosca per ragione del suo ufficio o servizio, e che debbano rimanere segrete nell’interesse della sicurezza dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni e con la multa non inferiore a lire due milioni.

 

Se il fatto è commesso nell’interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano, o se ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari, il colpevole è punito con la morte (1).

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 264

 

– Infedeltà in affari di Stato –

 

Chiunque, incaricato dal Governo italiano di trattare all’estero affari di Stato, si rende infedele al mandato è punito, se dal fatto possa derivare nocumento all’interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a cinque anni.

 

 

 

Art. 265

 

– Disfattismo politico –

 

Chiunque, in tempo di guerra, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico, o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali,

  • punito con la reclusione non inferiore a cinque anni. La pena è non inferiore a quindici anni:

 

1) se il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette a militari;

 

2) se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero.

 

La pena è dell’ergastolo se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico.

 

 

 

 

 

Art. 266

 

– Istigazione di militari a disobbedire alle leggi –

 

Chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l’apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari, è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave delitto, con la reclusione da uno a tre anni.

 

La pena è della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso pubblicamente.

 

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso in tempo di guerra.

 

Agli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso:

 

  • col mezzo della stampa, o con altro mezzo di propaganda;

 

  • in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone;

 

  • in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 21 marzo 1989, n. 139, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non prevede che per l’istigazione di militari a commettere un reato militare la pena sia sempre applicata in misura inferiore alla metà della pena stabilita per il reato al quale si riferisce l’istigazione.

 

 

 

Art. 267

 

– Disfattismo economico –

 

Chiunque, in tempo di guerra, adopera mezzi diretti a deprimere il corso dei cambi, o ad influire sul mercato dei titoli o dei valori, pubblici o privati, in modo da esporre a pericolo la resistenza della nazione di fronte al nemico, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni e con la multa non inferiore a lire sei milioni.

 

Se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero, la reclusione non può essere inferiore a dieci anni.

 

La reclusione non è inferiore a quindici anni se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico.

 

 

 

 

Art. 268

 

– Parificazione degli Stati alleati –

 

Le pene stabilite negli articoli 247 e seguenti si applicano anche quando il delitto è commesso a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, con lo Stato italiano.

 

 

 

Art. 269

 

– Attività antinazionale del cittadino all’estero –


Il cittadino, che, fuori del territorio dello Stato, diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose sulle condizioni interne dello Stato, per modo da menomare il credito o il prestigio dello Stato all’estero, o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.

 

 

 

Art. 270

 

– Associazioni sovversive –

 

Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economico-sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

 

Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.

 

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.

 

 

 

Art. 270 bis

 

– Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico –

 

Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il compito di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.

 

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da quattro a otto anni.

 

Articolo aggiunto dal D.L. 15 dicembre 1979, n. 625.

 

 

 

 

Art. 271

 

– Associazioni antinazionali –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono di svolgere o che svolgono un’attività diretta a distruggere o deprimere il sentimento nazionale è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

 

Si applica l’ultimo capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Art. 272

 

 

– Propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale –


Chiunque nel territorio dello Stato fa propaganda per la instaurazione violenta della dittatura di una classe sociale sulle altre, o per la soppressione violenta di una classe sociale o, comunque, per il sovvertimento violento degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, ovvero fa propaganda per la distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della società, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Se la propaganda è fatta per distruggere o deprimere il sentimento nazionale, la pena è della reclusione da sei mesi a due anni (1).

 

Alle stesse pene soggiace chi fa apologia dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 6 luglio 1966, n. 87, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma.

 

 

 

Art. 273

 

– Illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale –

 

Chiunque senza autorizzazione del Governo promuove, costituisce, organizza o dirige nel territorio dello Stato associazioni, enti o istituti di carattere internazionale, o sezioni di essi, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire un milione a quattro milioni.

 

Se l’autorizzazione è stata ottenuta per effetto di dichiarazioni false o reticenti, la pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa non inferiore a lire due milioni.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 3 luglio 1985, n. 193, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo.

 

 

 

Art. 274

 

– Illecita partecipazione ad associazioni aventi carattere internazionale –

 

Chiunque partecipa nel territorio dello Stato ad associazioni, enti o istituti, o sezioni di essi, di carattere internazionale, per i quali non sia stata conceduta l’autorizzazione del Governo, è punito con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

La stessa pena si applica al cittadino, residente nel territorio dello Stato, che senza l’autorizzazione del Governo partecipa ad associazioni, enti o istituti di carattere internazionale, che abbiano sede all’estero.

 

La Corte costiuzionale, con sentenza 28 giugno 1985, n. 193, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo.

 

 

 

Art. 275

 

– Accettazione di onorificenze o utilità da uno Stato nemico –

 

Il cittadino, che, da uno Stato in guerra con lo Stato italiano, accetta gradi o dignità accademiche, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, pensioni o altre utilità, inerenti ai predetti gradi, dignità, titoli, decorazioni o onorificenze, è punito con la reclusione fino a un anno.

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INTERNA DELLO STATO

 

Art. 276

 

– Attentato contro il Presidente della Repubblica –

 

Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica, è punito con l’ergastolo.

 

Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 277

 

– Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica

 

  • punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

Art. 278

 

– Offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica –

 

Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 279

 

– Lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica –

 

Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 280

 

– Attentato per finalità terroristiche o di eversione –

 

Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico attenta alla vita od alla incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.

 

Se dall’attentato alla incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.

 

Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell’esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.

 

Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato alla vita, l’ergastolo e, nel caso di attentato alla incolumità, la reclusione di anni trenta.

 

Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste nel secondo e quarto comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste (1).

 

(1)L’articolo originario era stato abrogato dal D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288. L’attuale articolo è stato inserito dal D.L. 15 dicembre 1979, n. 625.

 

 

 

Art. 281

 

Articolo abrogato dal D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288.

 

 

 

 

Art. 282

 

Articolo abrogato dal D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288.

 

 

 

 

Art. 283

 

– Attentato contro la costituzione dello Stato –

 

Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni.

 

Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 284

 

– Insurrezione armata contro i poteri dello Stato –

 

Chiunque promuove un’insurrezione armata contro i poteri dello Stato è punito con l’ergastolo e, se l’insurrezione avviene, con la morte (1).

 

Coloro che partecipano alla insurrezione sono puniti con la reclusione da tre a quindici anni; coloro che la dirigono, con la morte (1).

 

La insurrezione si considera armata anche se le armi sono soltanto tenute in un luogo di deposito.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

Art. 285

 

– Devastazione, saccheggio e strage –

 

Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con la morte (1).

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 286

 

– Guerra civile –

 

Chiunque commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato, è punito con l’ergastolo.

 

Se la guerra civile avviene, il colpevole è punito con la morte (1).

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 287

 

– Usurpazione di potere politico o di comando militare –

 

Chiunque usurpa un potere politico, ovvero persiste nell’esercitarlo indebitamente, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

 

Alla stessa pena soggiace chiunque indebitamente assume un alto comando militare.

 

Se il fatto è commesso in tempo di guerra, il colpevole è punito con l’ergastolo; ed è punito con la morte (1), se il fatto ha compromesso l’esito delle operazioni militari.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 288

 

– Arruolamento o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero –

 

Chiunque, nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perchè militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da tre a sei anni.

 

La pena è aumentata se fra gli arruolati sono militari in servizio, o persone tuttora soggette agli obblighi del servizio militare.

 

Art. 289

 

– Attentato contro gli organi costituzionali e contro le assemblee regionali –

 

  • punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:

 

  • al Presidente della Repubblica o al Governo l’esercizio delle attribuzioni o prerogative conferite dalla legge;

 

  • alle assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte costituzionale o alle assemblee regionali l’esercizio delle loro funzioni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette.

 

Articolo così modificato dalla L. 30 luglio 1957, n. 655.

 

 

 

 

Art. 289 bis

 

– Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione –

 

Chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico sequestra una persona è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.

 

Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.

 

Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.

 

Il concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà è punito con la reclusione da due a otto anni; se il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da otto a diciotto anni.

 

Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.

 

Articolo aggiunto dal D.L. 21 marzo 1978, n. 59.

 

 

 

 

Art. 290

 

– Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate –

 

Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o la Corte costituzionale, o l’ordine giudiziario è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

La stessa pena si applica a chi pubblicamente vilipende le Forze armate dello Stato o quelle della liberazione.

 

Articolo così modificato dalla L. 30 luglio 1957, n. 655.

 

 

 

Art. 290 bis

 

– Parificazione al Presidente della Repubblica di chi ne fa le veci –

 

Agli effetti degli articoli 276, 277, 278, 279, 289 è parificato al Presidente della Repubblica chi ne fa le veci.

 

Articolo aggiunto dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 291

 

– Vilipendio alla nazione italiana –

 

Chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

 

 

 

Art. 292

 

– Vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato –

 

Chiunque vilipende la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Agli effetti della legge penale, per “bandiera nazionale” s’intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi vilipende i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera.

 

 

 

Art. 292 bis

 

– Circostanza aggravante –

 

La pena prevista nei casi indicati dagli articoli 278 (offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica), 290, comma secondo (vilipendio delle Forze armate) , e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato) è aumentata, se il fatto è commesso dal militare in congedo.

 

Si considera militare in congedo chi, non essendo in servizio alle armi, non ha cessato di appartenere alle Forze armate dello Stato, ai sensi degli articoli 8 e 9 del codice penale militare di pace.

 

Articolo aggiunto dalla L. 23 marzo 1956, n. 167.

 

 

 

 

Art. 293

 

– Circostanza aggravante –


Nei casi indicati dai due articoli precedenti, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal cittadino in territorio estero.

 

 

 

Capo III: DEI DELITTI CONTRO I DIRITTI POLITICI DEL CITTADINO

 

Art. 294

 

– Attentati contro i diritti politici del cittadino –

 

Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

 

 

Capo IV: DEI DELITTI CONTRO GLI STATI ESTERI

 

I LORO CAPI E I LORO RAPPRESENTANTI

 

Art. 295

 

– Attentato contro i Capi di Stati esteri –

 

Chiunque nel territorio dello Stato attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Capo di uno Stato estero è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore a venti anni e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a quindici anni. Se dal fatto è derivata la morte del Capo dello Stato estero, il colpevole è punito con la morte (1) nel caso di attentato alla vita; negli altri casi è punito con l’ergastolo.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 296

 

– Offesa alla libertà dei Capi di Stati esteri –

 

Chiunque nel territorio dello Stato, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Capo di uno Stato estero è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

Art. 297

 

– Offesa all’onore dei Capi di Stati esteri –

 

Chiunque nel territorio dello Stato offende l’onore o il prestigio del Capo di uno Stato estero è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

 

 

Art. 298

 

 

– Offese contro i rappresentanti di Stati esteri –


Le disposizioni dei tre articoli precedenti si applicano anche se i fatti, ivi preveduti, sono commessi contro rappresentanti di Stati esteri, accreditati presso il Governo della Repubblica, in qualità di Capi di missione diplomatica, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni (1).

 

(1) Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Art. 299

 

– Offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero –

 

Chiunque nel territorio dello Stato, vilipende, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, la bandiera ufficiale o un altro emblema di uno Stato estero, usati in conformità del diritto interno dello Stato italiano, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

 

 

Art. 300

 

– Condizione di reciprocità –

 

Le disposizioni degli articoli 295, 296, 297 e 299 si applicano solo in quanto la legge straniera garantisca, reciprocamente, al Capo dello Stato italiano o alla bandiera italiana parità di tutela penale.

 

I Capi di missione diplomatica sono equiparati ai Capi di Stati esteri, a norma dell’articolo 298, soltanto se lo Stato straniero concede parità di tutela penale ai Capi di missione diplomatica italiana.

 

Se la parità della tutela penale non esiste, si applicano le disposizioni dei titoli dodicesimo e tredicesimo, ma la pena è aumentata.

 

 

 

Capo V: DISPOSIZIONI GENERALI E COMUNI AI CAPI PRECEDENTI

 

Art. 301

 

– Concorso di reati –

 

Quando l’offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all’onore, indicata negli articoli 276, 277, 278, 295, 296, 297 e 298, è considerata dalla legge come reato anche in base a disposizioni diverse da quelle contenute nei capi precedenti, si applicano le disposizioni che stabiliscono la pena più grave.

 

Nondimeno, nei casi in cui debbono essere applicate, disposizioni diverse da quelle contenute nei capi precedenti, le pene sono aumentate da un terzo alla metà.

 

Quando l’offesa alla vita, alla incolumità, alla libertà o all’onore è considerata dalla legge come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato, questo cessa dal costituire un reato complesso, e il colpevole soggiace a pene distinte, secondo le norme sul concorso dei reati, applicandosi, per le dette offese, le disposizioni contenute nei capi precedenti.

 

 

 

Art. 302

 

 

– Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti nei capi primo e secondo –


Chiunque istiga taluno a commettere uno dei delitti, non colposi, preveduti dai capi primo e secondo di questo titolo, per i quali la legge stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo o la reclusione, è punito, se la istigazione non è accolta, ovvero se la istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a otto anni.

 

Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce la istigazione.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 303

 

– Pubblica istigazione e apologia –

 

Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più fra i delitti indicati nell’articolo precedente è punito, per il solo fatto dell’istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni.

 

La stessa pena si applica a chiunque pubblicamente fa l’apologia di uno o più fra i delitti indicati nell’articolo precedente.

 

 

 

Art. 304

 

– Cospirazione politica mediante accordo –

 

Quando più persone si accordano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che partecipano all’accordo sono puniti, se il delitto non è commesso, con la reclusione da uno a sei anni.

 

Per i promotori la pena è aumentata.

 

Tuttavia, la pena da applicare è sempre inferiore alla metà della pena stabilita per il delitto al quale si riferisce l’accordo (1).

 

  • Con sentenza n. 123 del 28 dicembre 1962 la Corte cost. ha dichiarato che “compete al giudice di merito disapplicare le norme ricordate – artt. 330, 304, 305 cod. pen. – in tutti quei casi rispetto ai quali l’accertamento degli elementi di fatto conduca a far ritenere che lo sciopero costituisca valido esercizio del diritto garantito dall’art. 40 Cost., ed a rendere in conseguenza possibile l’applicazione dell’esimente di cui al cit. art. 51 cod. pen.”.

 

 

 

Art. 305

 

– Cospirazione politica mediante associazione –

 

Quando tre o più persone si associano al fine di commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, coloro che promuovono, costituiscono o organizzano la associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da cinque a dodici anni.

 

Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da due a otto anni.

 

I capi dell’associazione soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

 

Le pene sono aumentate se l’associazione tende a commettere due o più dei delitti sopra indicati (1).

 

(1)Con sentenza n. 123 del 28 dicembre 1962 la Corte cost. ha dichiarato che “compete al giudice di merito disapplicare le norme ricordate – artt. 330, 304, 305 cod. pen. – in tutti quei casi rispetto ai quali l’accertamento degli elementi di fatto conduca a far ritenere che lo sciopero costituisca valido esercizio del diritto garantito dall’art. 40 Cost., ed a rendere in conseguenza possibile l’applicazione dell’esimente di cui al cit. art. 51 cod. pen.”.

 

 

 

Art. 306

 

– Banda armata: formazione e partecipazione –

 

Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo, alla pena della reclusione da cinque a quindici anni.

 

Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni.

 

I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

 

 

 

 

Art. 307

 

– Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata –

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce il vitto a taluna delle persone che partecipano all’associazione o alla banda indicate nei due articoli precedenti, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

La pena è aumentata se il rifugio o il vitto sono prestati continuatamente.

 

Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.

 

Agli effetti della legge penale, si intendono per “prossimi congiunti” gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorchè sia morto il coniuge e non vi sia prole.

 

 

 

Art. 308

 

– Cospirazione: casi di non punibilità –

 

Nei casi preveduti dagli articoli 304, 305 e 307 non sono punibili coloro i quali, prima che sia commesso il delitto per cui l’accordo è intervenuto o l’associazione è costituita, e anteriormente all’arresto, ovvero al procedimento:

 

  • disciolgono o, comunque, determinano lo scioglimento dell’associazione;

 

  • non essendo promotori o capi, recedono dall’accordo o dall’associazione.

 

Non sono parimenti punibili coloro i quali impediscono comunque che sia compiuta l’esecuzione del delitto per cui l’accordo è intervenuto o l’associazione è stata costituita.

 

 

 

Art. 309

 

– Banda armata: casi di non punibilità –

 

Nei casi preveduti dagli articoli 306 e 307, non sono punibili coloro i quali, prima che sia commesso il delitto per cui la banda armata venne formata, e prima dell’ingiunzione dell’autorità o della forza pubblica, o immediatamente dopo tale ingiunzione:

 

  • disciolgono o, comunque, determinano lo scioglimento della banda;

 

  • non essendo promotori o capi della banda, si ritirano dalla banda stessa, ovvero si arrendono, senza opporre resistenza e consegnando o abbandonando le armi.

 

Non sono parimenti punibili coloro i quali impediscono comunque che sia compiuta l’esecuzione del delitto per cui la banda è stata formata.

 

 

 

Art. 310

 

– Tempo di guerra –

 

Agli effetti della legge penale, nella denominazione di “tempo di guerra” è compreso anche il periodo di imminente pericolo di guerra quando questa sia seguita.

 

 

 

Art. 311

 

– Circostanza diminuente: lieve entità del fatto –

 

Le pene comminate pei delitti preveduti da questo titolo sono diminuite quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

 

 

 

Art. 312

 

– Espulsione dello straniero –

 

Lo straniero, condannato a una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo è espulso dallo Stato.

 

 

 

Art. 313

 

– Autorizzazione a procedere o richiesta di procedimento –

 

Per i delitti preveduti dagli articoli 244, 245, 265, 267, 269, 273, 274, 277. 278, 279, 287 e 288 non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro per la giustizia.

 

Parimenti, non si può procedere senza tale autorizzazione per i delitti preveduti dagli articolo 247, 248, 249, 250, 251 e 252, quando sono commessi a danno di uno Stato estero alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano.

 

Per il delitto preveduto dall’articolo 290, quando è commesso contro l’assemblea costituente ovvero contro le assemblee legislative o una di queste, non si può procedere senza l’autorizzazione dell’assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Negli altri casi non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro per la giustizia (1).

 

I delitti preveduti dagli articoli 296, 297, 298 in relazione agli articoli 296 e 297, e dall’articolo 299 sono punibili a richiesta del Ministro per la giustizia (2).

 

  • Con sentenza n. 15 del 17 febbraio 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo comma nei limiti in cui attribuisce il potere di dare l’autorizzazione a procedere per il delitto di vilipendio della Corte costituzionale al Ministro di grazia e giustizia anzichè alla Corte stessa.

 

  • Articolo così modificato dalla L. 11 novembre 1947, n. 1317.

 

 

 

 

Titolo II: DEI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

Capo I: DEI DELITTI DEI PUBBLICI UFFICIALI

 

CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

Art. 314

 

– Peculato –

 

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 315

 

Abrogato dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 316

 

– Peculato mediante profitto dell’errore altrui –

 

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sè o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

Art. 316 bis

 

– Malversazione a danno dello Stato –

 

Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni (1).

 

  • Articolo introdotto dall’art. 3, L. 26 aprile 1990, n. 86, e successivamente così modificato dall’art. 1, L. 7 febbraio 1992, n. 181.

 

 

 

Art. 317

 

– Concussione –

 

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 317 bis

 

– Pene accessorie –

 

La condanna per i reati di cui agli articoli 314 e 317 importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l’interdizione temporanea (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 318

 

– Corruzione per un atto d’ufficio –

 

Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sè o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno (1).

 

  • Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 319

 

– Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio –

 

Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sè o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni (1) .

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 319 bis

 

– Circostanze aggravanti –

 

La pena è aumentata se il fatto di cui all’articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 319 ter

 

– Corruzione in atti giudiziari –

 

Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

 

Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 320

 

– Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio –

 

Le disposizioni dell’articolo 319 si applicano anche se il fatto è commesso da persona incaricata di un pubblico servizio; quelle di cui all’articolo 318 si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.

 

In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 321

 

– Pene per il corruttore –


Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319 bis, nell’articolo 319 ter e nell’articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità (1).

 

1)Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 e successivamente modificato dall’art. 2, L. 7 febbraio

 

1992, n. 181.

 

 

 

 

Art. 322

 

– Istigazione alla corruzione –

 

Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo.

 

Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere od a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’articolo 319, ridotta di un terzo (1) .

 

La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 318.

 

La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319 (2).

 

(1)- Comma così modificato dall’art. 3, L. 7 febbraio 1992, n. 181.

 

(2) – Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 323

 

– Abuso d’ufficio –

 

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

 

Articolo sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 e successivamente così sostituito dall’art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234.

 

 

 

Art. 323 bis

 

 

– Circostanza attenuante –


Se i fatti previsti dagli articoli 314, 316, 316 bis, 317, 318, 319, 320, 322 e 323 sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 324

 

Abrogato dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 325

 

– Utilizzazione d’invenzioni o scoperte conosciute per ragioni di ufficio –

 

Il pubblico ufficiale, o l’incaricato di un pubblico servizio che impiega, a proprio o altrui profitto, invenzioni o scoperte scientifiche, o nuove applicazioni industriali, che egli conosca per ragione dell’ufficio o servizio, e che debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire un milione.

 

 

 

Art. 326

 

– Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio –

 

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.

 

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sè o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 327

 

– Eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell’Autorità –

 

Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, eccita al dispregio delle istituzioni o alla inosservanza delle leggi, delle disposizioni dell’Autorità o dei doveri inerenti a un pubblico ufficio o servizio, ovvero fa l’apologia di fatti contrari alle leggi, alle disposizioni dell’Autorità o ai doveri predetti, è punito, quando il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire quattrocentomila.

 

La disposizione precedente si applica anche al pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio e al ministro di un culto.

 

 

 

Art. 328

 

– Rifiuto di atti di ufficio. Omissione –

 

Il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto dell’ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa (1).

 

(1)Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 329

 

– Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica –

 

Il militare o l’agente della forza pubblica, il quale rifiuta o ritarda indebitamente di eseguire una richiesta fattagli dall’Autorità competente nelle forme stabilite dalla legge, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

 

 

Art. 330

 

Abrogato dalla L. 12 giugno 1990, n. 146.

 

 

 

 

Art. 331

 

– Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità –

 

Chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a lire un milione.

 

I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da tre a sette anni e con la multa non inferiore a lire sei milioni.

 

Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Art. 332

 

  • Omissioni di doveri di ufficio in occasione di abbandono di un pubblico ufficio o di interruzione di un pubblico servizio –

 

Il pubblico ufficiale o il dirigente un servizio pubblico o di pubblica necessità che, in occasione di alcuno dei delitti preveduti dai due articoli precedenti, ai quali non abbia preso parte, rifiuta od omette di adoperarsi per

 

la ripresa del servizio a cui è addetto o preposto, ovvero di compiere ciò che è necessario per la regolare continuazione del servizio, è punito con la multa fino a lire un milione.

 

 

 

Art. 333

 

Abrogato dalla L. 12 giugno 1990, n. 146.

 

 

 

 

Art. 334

 

  • Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa –

 

Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa sottoposta a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa e affidata alla sua custodia, al solo scopo di favorire il proprietario di essa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a un milione.

 

Si applicano la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da lire sessantamila a lire seicentomila, se la sottrazione, la soppressione, la distruzione, la dispersione, o il deterioramento sono commessi dal proprietario della cosa, affidata alla sua custodia.

 

La pena è della reclusione da un mese ad un anno e della multa fino a lire seicentomila, se il fatto è commesso dal proprietario della cosa medesima non affidata alla sua custodia (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 335

 

  • Violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa –

 

Chiunque, avendo in custodia una cosa sottoposta a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa, per colpa ne cagiona la distruzione o la dispersione, ovvero ne agevola la sottrazione o la soppressione, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI DEI PRIVATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

Art. 336

 

– Violazione o minaccia a un pubblico ufficiale –

 

Chiunque usa violenza a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 

La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.

 

 

 

Art. 337

 

– Resistenza a un pubblico ufficiale –

 

Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 

 

 

Art. 338

 

– Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario –

 

Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi.

 

 

 

Art. 339

 

– Circostanze aggravanti –

 

Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.

 

Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell’articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni, e, nel caso preveduto dal capoverso dell’articolo 336, della reclusione da due a otto anni.

 

 

 

Art. 340

 

– Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno.

 

I capi, o promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Art. 341

 

– Oltraggio a un pubblico ufficiale –

 

Chiunque offende l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni (1).

 

La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale e a causa delle sue funzioni.

 

La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato.

 

Le pene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l’offesa è recata in presenza di una o più persone.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 25 luglio 1994, n. 341, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede come minimo edittale la reclusione per mesi sei.

 

 

 

Art. 342

 

– Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario –

 

Chiunque offende l’onore o il prestigio di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica Autorità costituita in collegio, al cospetto del Corpo, della rappresentanza o del collegio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno, diretti al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa delle sue funzioni.

 

La pena è della reclusione da uno a quattro anni se l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato.

 

Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Art. 343

 

– Oltraggio a un magistrato in udienza –

 

Chiunque offende l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è della reclusione da due a cinque anni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

 

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violenza o minaccia.

 

 

 

 

Art. 344

 

– Oltraggio a un pubblico impiegato –


Le disposizioni dell’articolo 341 si applicano anche nel caso in cui l’offesa è recata a un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio; ma la pene sono ridotte di un terzo.

 

 

 

Art. 345

 

– Offesa all’Autorità mediante danneggiamento di affissioni –

 

Chiunque, per disprezzo verso l’Autorità, rimuove, lacera, o, altrimenti rende illeggibili o comunque inservibili scritti o disegni affissi o esposti al pubblico per ordine dell’Autorità stessa, è punito con la multa fino a un milione di lire.

 

 

 

Art. 346

 

– Millantato credito –

 

Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da un anno a cinque anni e con la multa da lire seicentomila a quattro milioni.

 

La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da lire un milione a sei milioni, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare.

 

 

 

Art. 347

 

– Usurpazione di funzioni pubbliche –

 

Chiunque usurpa una funzione pubblica o le attribuzioni inerenti a un pubblico impiego è punito con la reclusione fino a due anni.

 

Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o impiegato il quale, avendo ricevuto partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospendere le sue funzioni e le sue attribuzioni, continua ad esercitarle.

 

La condanna importa la pubblicazione della sentenza.

 

 

 

 

Art. 348

 

– Abusivo esercizio di una professione –

 

Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

 

 

Art. 349

 

 

– Violazione di sigilli –


Chiunque viola i sigilli, per disposizione della legge o per ordine dell’Autorità apposti al fine di assicurare la conservazione o la identità di una cosa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa, la pena è della reclusione da tre a cinque anni e della multa da lire seicentomila a sei milioni.

 

 

 

Art. 350

 

– Agevolazione colposa –

 

Se la violazione dei sigilli è resa possibile, o comunque agevolata, per colpa di chi ha in custodia la cosa, questi è punito con la multa da lire centomila a due milioni.

 

 

 

Art. 351

 

– Violazione della pubblica custodia di cose –

 

Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora corpi di reato, atti, documenti, ovvero un’altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio, o presso un pubblico ufficiale o un impiegato che presti un pubblico servizio, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione da uno a cinque anni.

 

 

 

Art. 352

 

– Vendita di stampati dei quali è stato ordinato il sequestro –

 

Chiunque vende, distribuisce o affigge, in luogo pubblico o aperto al pubblico, scritti o disegni, dei quali l’Autorità ha ordinato il sequestro, è punito con la multa fino a un milione di lire.

 

 

 

Art. 353

 

– Turbata libertà degli incanti –

 

Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dalla Autorità o agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da lire un milione a quattro milioni.

 

Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà.

 

 

 

 

Art. 354

 

– Astensione dagli incanti –

 

Chiunque, per denaro dato o promesso a lui o ad altri, o per altra utilità a lui data o promessa, si astiene dal concorrere agli incanti o alle licitazioni indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione sino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.

 

 

 

Art. 355

 

– Inadempimenti di contratti di pubbliche forniture –

 

Chiunque, non adempiendo agli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura concluso con lo Stato, o con un altro ente pubblico, ovvero con un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, fa mancare in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, e con la multa non inferiore a lire duecentomila.

 

La pena è aumentata se la fornitura concerne:

 

  • sostanze alimentari o medicinali, ovvero cose od opere destinate alla comunicazioni per terra, per acqua o per aria, o alle comunicazioni telegrafiche e telefoniche;

 

  • cose od opere destinate all’armamento o all’equipaggiamento delle forze armate dello Stato;

 

  • cose od opere destinate ad ovviare a un comune pericolo o ad un pubblico infortunio.

 

Se il fatto è commesso per colpa, si applica la reclusione fino a un anno, ovvero la multa da lire centomila a un milione.

 

Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, quando essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno fatto mancare la fornitura.

 

 

 

Art. 356

 

– Frode nelle pubbliche forniture –

 

Chiunque commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da un anno a cinque anni o con la multa non inferiore a lire due milioni.

 

La pena è aumentata nei casi preveduti dal primo capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Capo III: DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI

 

Art. 357

 

– Nozione del pubblico ufficiale –

 

Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

 

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi (1).

 

  • Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 e successivamente modificato dall’art. 4, L. 7 febbraio 1992, n. 181.

 

 

 

Art. 358

 

– Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio –

 

Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.

 

Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

 

 

 

Art. 359

 

– Persone esercenti un servizio di pubblica necessità –

 

Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:

 

  • i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;

 

  • i privati che, non esercitando una pubblica funzione, nè prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica Amministrazione.

 

 

 

Art. 360

 

– Cessazione della qualità di pubblico ufficiale –

 

Quando la legge considera la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio, o di esercente un servizio di pubblica necessità, come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato, la cessazione di tale qualità, nel momento in cui il reato è commesso, non esclude la esistenza di questo nè la circostanza aggravante, se il fatto si riferisce all’ufficio o al servizio esercitato.

 

 

 

Titolo III: DEI DELITTI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO L’ATTIVITÀ GIUDIZIARIA


 

Art. 361

 

– Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale –

 

Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferire, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

La pena è della reclusione fino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.

 

Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.

 

Art. 362

 

– Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio –

 

L’incaricato di un pubblico servizio, che omette o ritarda di denunciare all’Autorità indicata nell’articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del suo servizio, è punito con la multa fino a lire duecentomila.

 

Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato punibile a querela della persona offesa.

 

 

 

 

Art. 363

 

– Omessa denuncia aggravata –

 

Nei casi preveduti dai due articoli precedenti, se la omessa o ritardata denuncia riguarda un delitto contro la personalità dello Stato, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni; ed è da uno a cinque anni, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria.

 

 

 

Art. 364

 

– Omessa denuncia di reato da parte del cittadino –

 

Il cittadino, che avendo avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 365

 

– Omissione di referto –

 

Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’art. 361, è punito con la multa fino a lire un milione.

 

Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.

 

Art. 366

 

– Rifiuto di uffici legalmente dovuti –

 

Chiunque, nominato dall’Autorità giudiziaria perito, interprete, ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinnanzi all’Autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime.

 

Le disposizioni precedenti si applicano alla persona chiamata a deporre come testimonio dinanzi all’Autorità giudiziaria e ad ogni altra persona chiamata ad esercitare una funzione giudiziaria.

 

Se il colpevole è un perito o un interprete, la condanna importa la interdizione dalla professione o dall’arte.

 

 

 

 

Art. 367

 

– Simulazione di reato –

 

Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

 

 

Art. 368

 

– Calunnia –

 

Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.

 

La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.

 

La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte (1).

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 369

 

– Autocalunnia –

 

Chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle Autorità indicate nell’articolo precedente, anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione innanzi all’Autorità giudiziaria, incolpa

 

se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Art. 370

 

– Simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione –

 

Le pene stabilite negli articoli precedenti sono diminuite se la simulazione o la calunnia concerne un fatto preveduto dalla legge come contravvenzione.

 

 

 

Art. 371

 

– Falso giuramento della parte –

 

Chiunque, come parte in giudizio civile, giura il falso è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Nel caso di giuramento deferito di ufficio, il colpevole non è punibile, se ritratta il falso prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile.

 

La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici.

 

 

 

 

Art. 371 bis

 

– False informazioni al pubblico ministero –

 

Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni (1).

 

Ferma l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (2).

 

  • Comma così modificato dall’art. 25, comma 1, L. 8 agosto 1995, n. 332.

 

  • Articolo aggiunto dall’art. 11, comma 1, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. Successivamente l’art. 25, comma 2, L. 8 agosto 1995, n. 332, ha aggiunto il presente comma.

 

 

 

Art. 372

 

– Falsa testimonianza –

 

Chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni (1) .

 

(1) Articolo così modificato dall’art. 11, comma 2, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

Art. 373

 

– Falsa perizia o interpretazione –

 

Il perito o l’interprete che, nominato dall’Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazione mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente.

 

La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici, la interdizione dalla professione o dall’arte.

 

 

 

 

Art. 374

 

– Frode processuale –

 

Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata.

 

 

 

Art. 374 bis

 

– False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria –

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all’imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione.

 

Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (1).

 

(1)Articolo aggiunto dall’art. 11, comma 3, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

 

 

 

Art. 375

 

– Circostanze aggravanti –

 

Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372, 373 e 374, la pena è della reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni; è della reclusione da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna superiore a cinque anni; ed è della reclusione da sei a venti anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo(1) .

 

(1)Articolo così sostituito dall’art. 11, comma 4, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

 

 

 

Art. 376

 

– Ritrattazione –

 

Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento (1).

 

Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile.

 

(1)Comma così sostituito dall’art. 11, comma 5, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

 

 

 

Art. 377

 

– Subornazione –

 

Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria ovvero a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi ridotte dalla metà ai due terzi (1) .

 

La stessa disposizione si applica qualora l’offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa.

 

La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici.

 

(1)Comma così sostituito dall’art. 11, comma 6, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

 

 

 

Art. 378

 

– Favoreggiamento personale –

 

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte (1)o l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni.

 

Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416 bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni (2) .

 

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a lire un milione.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.

 

(1)La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

  • Comma aggiunto dalla L. 13 settembre 1982, n. 646.

 

 

 

 

Art. 379

 

– Favoreggiamento reale –

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o dei casi previsti dagli articoli 648, 648 bis e 648 ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da lire centomila a due milioni se si tratta di contravvenzione (1).

 

Si applicano le disposizioni del primo e dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente (2) .

 

  • Comma così modificato dalla L. 19 marzo 1990, n. 55.

 

  • Comma così sostituito dalla L. 13 settembre 1982, n. 646.

 

 

 

 

Art. 380

 

– Patrocinio o consulenza infedele –

 

Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinnanzi all’Autorità giudiziaria, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a lire un milione.

 

La pena è aumentata:

 

  • se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;

 

  • se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

 

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a lire due milioni, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte (1) o l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 381

 

– Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico –

 

Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinnanzi all’Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferire a lire duecentomila.

 

La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da lire centomila a un milione, se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.

 

 

 

Art. 382

 

– Millantato credito del patrocinatore –


Il patrocinatore, che, millantando credito presso il giudice o il pubblico ministero che deve concludere, ovvero presso il testimone, il perito o l’interprete, riceve o fa dare o promettere dal suo cliente, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di doversi procurare il favore del giudice o del pubblico ministero, o del testimone, perito o interprete, ovvero di doverli remunerare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa non inferiore a lire due milioni.

 

 

 

Art. 383

 

– Interdizione dai pubblici uffici –

 

La condanna per i delitti preveduti dagli artt. 380, 381, prima parte, e 382 importa l’interdizione dai pubblici uffici.

 

 

 

Art. 384

 

– Casi di non punibilità –

 

Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore.

 

Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione (1) .

 

Articolo così sostituito dall’art. 11, comma 7, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza 27 dicembre 1996, n. 416, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, a norma dell’art. 199 del codice di procedura penale.

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO L’AUTORITÀ DELLE DECISIONI GIUDIZIARIE

 

Art. 385

 

– Evasione –

 

Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da sei mesi a un anno.

 

La pena è della reclusione da uno a tre anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia contro le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a cinque anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite.

 

Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonchè al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale (1) .

 

Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita (1) .

 

  • Articolo così sostituito dalla L. 12 gennaio 1977, n. 1. Il penultimo comma è stato successivamente così sostituito dalla L. 12 agosto 1982, n. 532.

 

 

 

Art. 386

 

– Procurata evasione –

 

Chiunque procura o agevola la evasione di una persona legalmente arrestata o detenuta per un reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 

Si applica la reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso a favore di un condannato alla pena di morte (1) o all’ergastolo.

 

La pena è aumentata, se il colpevole, per commettere il fatto, adopera alcuno dei mezzi indicati nel primo capoverso dell’articolo precedente.

 

La pena è diminuita:

 

  • se il colpevole è prossimo congiunto;

 

  • se il colpevole nel termine di tre mesi dall’evasione, procura la cattura della persona evasa o la presentazione di lei all’Autorità.

 

La condanna importa in ogni caso l’interdizione dai pubblici uffici.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 387

 

– Colpa del custode –

 

Chiunque, preposto per ragione del suo ufficio alla custodia, anche temporanea, di una persona arrestata o detenuta per un reato, ne cagiona, per colpa, la evasione, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Il colpevole non è punibile se nel termine di tre mesi dalla evasione procura la cattura della persona evasa o la presentazione di lei all’Autorità.

 

 

 

Art. 388

 

– Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice –

 

Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi l’Autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

La stessa pena si applica a chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.

 

Chiunque sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino a lire seicentomila (1) .

 

Si applicano la reclusione da due mesi a due anni e la multa da lire sessantamila a lire seicentomila se il fatto è commesso dal proprietario su una cosa affidata alla sua custodia e la reclusione da quattro mesi a tre anni e la multa da lire centomila a un milione se il fatto è commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario della cosa (1).

 

Il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell’ufficio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a un milione (1) .

 

Il colpevole è punito a querela della persona offesa (1) .

 

(1)Gli ultimi quattro commi hanno così sostituito l’originario terzo comma (art. 87, L. 24 novembre 1981, n.

 

689).

 

Art. 388 bis

 

  • Violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo –

 

Chiunque, avendo in custodia una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo, per colpa ne cagiona la distruzione o la dispersione, ovvero ne agevola la soppressione o la sottrazione, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila (1) .

 

(1)Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 388 ter

 

– Mancata esecuzione dolosa di sanzioni pecuniarie –

 

Chiunque, per sottrarsi all’esecuzione di una multa o di una ammenda o di una sanzione amministrativa pecuniaria compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi nei termini all’ingiunzione di pagamento contenuta nel precetto, con la reclusione da sei mesi a tre anni (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 389

 

– Inosservanza di pene accessorie –

 

Chiunque, avendo riportato una condanna, da cui consegue una pena accessoria, trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tale pena, è punito con la reclusione da due a sei mesi.

 

La stessa pena si applica a chi trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti ad una pena accessoria provvisoriamente applicata (1) .

 

(1)Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 390

 

– Procurata inosservanza di pena –

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta taluno a sottrarsi all’esecuzione della pena è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni se si tratta di condannato per delitto, e con la multa da lire centomila a due milioni se si tratta di condannato per contravvenzione.

 

Si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell’articolo 386.

 

 

 

 

Art. 391

 

– Procurata inosservanza di misure di sicurezza –

 

Chiunque procura o agevola l’evasione di persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva, ovvero nasconde l’evaso o comunque la favorisce nel sottrarsi alle ricerche dell’Autorità, è punito con la reclusione fino a due anni. Si applicano le disposizioni del terzo capoverso dell’articolo 386.

 

Se l’evasione avviene per colpa di chi, per ragione del suo ufficio, ha la custodia, anche temporanea, della persona sottoposta a misura di sicurezza, il colpevole è punito con la multa fino a lire quattrocentomila. Si applica la disposizione del capoverso dell’articolo 387.

 

 

 

Capo III: DELLA TUTELA ARBITRARIA DELLE PRIVATE RAGIONI

 

Art. 392

 

– Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose –

 

Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito a querela della persona offesa, con la multa fino a lire un milione.

 

Agli effetti della legge penale, si ha “violenza sulle cose”, allorchè la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.

 

Si ha altresì, violenza sulle cose allorchè un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico (1) .

 

(1)Comma aggiunto dall’art. 1, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 393

 

 

– Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone –


Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito con la reclusione fino a un anno.

 

Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a lire quattrocentomila.

 

La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.

 

 

 

 

Art. 394

 

– Sfida a duello –

 

Chiunque sfida altri a duello, anche se la sfida non è accettata, è punito, se il duello non avviene, con la multa da lire quarantamila a quattrocentomila.

 

La stessa pena si applica a chi accetta la sfida, sempre che il duello non avvenga.

 

 

 

 

Art. 395

 

– Portatori di sfida –

 

I portatori della sfida sono puniti con la multa da lire quarantamila a quattrocentomila; ma la pena è diminuita se il duello non avviene.

 

Art. 396

 

– Uso delle armi in duello –

 

Chiunque fa uso delle armi in duello è punito, anche se non cagiona all’avversario una lesione personale, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire centomila a due milioni.

 

Il duellante è punito:

 

  • con la reclusione fino a due anni, se dal fatto deriva all’avversario una lesione personale, grave o gravissima;

 

  • con la reclusione da uno a cinque anni, se dal fatto deriva la morte.

 

Ai padrini o ai secondi e alle persone, che hanno agevolato il duello, si applica la multa da lire centomila a due milioni.

 

Se i padrini o secondi sono gli stessi portatori della sfida, non si applicano loro le disposizioni dell’articolo precedente.

 

 

 

Art. 397

 

– Casi di applicazione delle pene ordinarie stabilite per l’omicidio e per la lesione personale –

 

In luogo delle disposizioni dell’articolo precedente, si applicano quelle contenute nel capo primo del titolo dodicesimo:

 

  • se le condizioni del combattimento sono state precedentemente stabilite dai padrini o secondi, ovvero se il combattimento non avviene alla loro presenza;

 

  • se le armi adoperate nel combattimento non sono uguali, e non sono spade, o sciabole o pistole egualmente cariche, ovvero se non sono armi di precisione o a più colpi;

 

  • se nella scelta delle armi o nel combattimento è commessa frode o violazione delle condizioni stabilite;

 

  • se è stato espressamente convenuto, ovvero se risulta dalla specie del duello, o dalla distanza fra i combattenti, o dalle altre condizioni stabilite, che uno dei duellanti doveva rimanere ucciso.

 

La frode o la violazione delle condizioni stabilite, quanto alla scelta delle armi o al combattimento, è a carico non solo di chi ne è l’autore, ma anche di quello fra i duellanti, padrini o secondi, che ne ha avuto conoscenza prima o durante il combattimento.

 

Art. 398

 

– Circostanze aggravanti. Casi di non punibilità –

 

Se il colpevole di uno dei delitti preveduti dall’articolo 394, dalla prima parte e dal primo capoverso dell’articolo 396, è stato la causa ingiusta e determinante del fatto, la pena è per lui raddoppiata.

 

Non sono punibili:

 

  • i portatori della sfida, i padrini o secondi e coloro che hanno agevolato il duello, se impediscono l’uso delle armi, ovvero se procurano la cessazione del combattimento, prima che dal medesimo sia derivata alcuna lesione;

 

  • i padrini o i secondi che, prima del duello, hanno fatto quanto dipendeva da loro per conciliare le parti, o se per opera loro il combattimento ha avuto un esito meno grave di quello che altrimenti poteva avere;

 

  • il sanitario che presta la propria assistenza ai duellanti.

 

 

 

 

Art. 399

 

– Duellante estraneo al fatto –

 

Quando taluno dei duellanti non ha avuto parte nel fatto che cagionò il duello, e si batte in vece di chi ha direttamente interesse, le pene stabilite nella prima parte del capoverso dell’articolo 396 sono aumentate.

 

Tale aumento di pena non si applica se il duellante è un prossimo congiunto, ovvero se, essendo uno dei padrini o secondi, si è battuto in vece del suo primo assente.

 

Art. 400

 

– Offesa per rifiuto di duello e incitamento al duello –

 

Chiunque pubblicamente offende una persona o la fa segno a pubblico disprezzo, perchè essa o non ha sfidato o non ha accettato la sua sfida, o non si è battuta in duello, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire centomila a un milione.

 

La stessa pena si applica a chi, facendo mostra del suo disprezzo, incita altri al duello.

 

Art. 401

 

– Provocazione al duello per fine di lucro –

 

Quando chi provoca o sfida a duello, o minaccia di provocare o di sfidare, agisce con l’intento di carpire denaro o altra utilità, si applicano le disposizioni dell’articolo 629.

 

Si applicano altresì le disposizioni del capo primo del titolo dodicesimo, nel caso in cui il duello sia avvenuto.

 

 

 

 

Titolo IV: DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO RELIGIOSO

 

E CONTRO LA PIETÀ DEI DEFUNTI

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO LA RELIGIONE DELLO STATO

 

E I CULTI AMMESSI

 

Art. 402

 

– Vilipendio della religione dello Stato –

 

Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un anno.

 

 

 

 

Art. 403

 

– Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone –

 

Chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

Si applica la reclusione da uno a tre anni a chi offende la religione dello Stato, mediante vilipendo di un ministro del culto cattolico.

 

 

 

Art. 404

 

– Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose –

 

Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

La stessa pena si applica a chi commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto cattolico.

 

 

 

Art. 405

 

– Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico –


Chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto cattolico, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione fino a tre anni.

 

 

 

 

Art. 406

 

– Delitti contro i culti ammessi nello Stato –

 

Chiunque commette uno dei fatti preveduti dagli articoli 403, 404, e 405 contro un culto ammesso nello Stato, è punito ai termini dei predetti articoli, ma la pena è diminuita.

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO LA PIETÀ DEI DEFUNTI

 

Art. 407

 

– Violazione di sepolcro –

 

Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un’urna è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

 

 

 

Art. 408

 

– Vilipendio delle tombe –

 

Chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

 

 

Art. 409

 

– Turbamento di un funerale o servizio funebre –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 405, impedisce o turba un funerale o un servizio funebre è punito con la reclusione fino a un anno.

 

 

 

Art. 410

 

– Vilipendio di cadavere –

 

Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere, o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità, è punito con la reclusione da tre a sei anni.

 

 

 

Art. 411

 

– Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere –

 

Chiunque distrugge, sopprime o sottrae un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne sottrae o disperde le ceneri, è punito con la reclusione da due a sette anni.

 

La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia.

 

 

 

 

Art. 412

 

– Occultamento di cadavere –

 

Chiunque occulta un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

 

 

Art. 413

 

– Uso illegittimo di cadavere –

 

Chiunque disseziona o altrimenti adopera un cadavere, o una parte di esso, a scopi scientifici o didattici, in casi non consentiti dalla legge, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.

 

La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere, o su una parte di esso, che il colpevole sappia essere stato da altrui mutilato, occultato o sottratto.

 

 

 

Codice Penale

 

Libro Secondo: DEI DELITTI IN PARTICOLARE

 

Titolo V: DEI DELITTI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO

 

Art. 414

 

– Istigazione a delinquere –

 

Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:

 

  • con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti.

 

  • con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a lire quattrocentomila, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

 

Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n. 1.

 

Alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti.

 

 

 

 

Art. 415

 

– Istigazione a disobbedire alle leggi –

 

Chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (1).

 

  • Con sentenza n. 108 del 23 aprile 1974 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo, riguardante l’istigazione all’odio fra le classi sociali, nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità.

 

 

 

Art. 416

 

– Associazione per delinquere –

 

Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.

 

Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

 

I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

 

Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni.

 

La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.

 

 

 

 

Art. 416 bis

 

– Associazione di tipo mafioso –

 

Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni.

 

Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni.

 

L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sè o ad altri in occasione di consultazioni elettorali (1).

 

Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da quattro a dieci anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei casi previsti dal secondo comma.

 

L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.

 

Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.

 

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonchè le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare (2) .

 

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso (3) .

 

  • Comma così modificato dall’art. 11 bis, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

  • La seconda parte di questo comma è stata abrogata dall’art. 36 , secondo comma, della L. 19 marzo 1990, n. 55.

 

  • Articolo aggiunto dalla L. 13 settembre 1982, n. 646.

 

 

 

 

Art. 416 ter

 

– Scambio elettorale politico-mafioso –

 

La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della erogazione di denaro (1) .

 

(1) Articolo inserito dall’art. 11 ter, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

 

 

 

 

Art. 417

 

– Misura di sicurezza –

 

Nel caso di condanna per i delitti preveduti dai due articoli precedenti è sempre ordinata una misura di sicurezza (1).

 

(1) Articolo così modificato dalla L. 23 dicembre 1982, n. 936.

 

 

 

 

Art. 418

 

– Assistenza agli associati –

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce il vitto a taluna delle persone che partecipano all’associazione è punito con la reclusione fino a due anni.

 

La pena è aumentata se il rifugio o il vitto sono prestati continuatamente.

 

Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.

 

 

 

 

Art. 419

 

– Devastazione e saccheggio –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni.

 

La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito.

 

 

 

Art. 420

 

– Attentato a impianti di pubblica utilità –

 

Chiunque commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere impianti di pubblica utilità, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena di cui al primo comma si applica anche a chi commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici di pubblica utilità, ovvero dati, informazioni o programmi in essi contenuti o ad essi pertinenti.

 

Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento dell’impianto o del sistema, dei dati, delle informazioni o dei programmi ovvero l’interruzione anche parziale del funzionamento dell’impianto o del sistema la pena è della reclusione da tre a otto anni (1).

 

(1) Articolo così sostituito dall’art. 2, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 421

 

– Pubblica intimidazione –

 

Chiunque minaccia di commettere delitti contro la pubblica incolumità, ovvero fatti di devastazione o di saccheggio, in modo da incutere pubblico timore, è punito con la reclusione fino a un anno.

 

 

 

Titolo VI: DEI DELITTI CONTRO L’INCOLUMITÀ PUBBLICA

 

Capo I: DEI DELITTI DI COMUNE PERICOLO MEDIANTE VIOLENZA

 

Art. 422

 

– Strage –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con la morte (1).

 

Se è cagionata la morte di una sola persona si applica l’ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 423

 

– Incendio –

 

Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.

 

La disposizione precedente si applica anche nel caso d’incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.

 

 

 

Art. 424

 

– Danneggiamento seguito da incendio –

 

Chiunque, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se del fatto sorge pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni.

 

Se segue l’incendio, si applicano le disposizioni dell’articolo precedente, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà.

 

 

 

Art. 425

 

– Circostanze aggravanti –

 

Nei casi preveduti dai due articoli precedenti, la pena è aumentata se il fatto è commesso:

 

1) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico, su monumenti, cimiteri e loro dipendenze;

 

2 su edifici abitati o destinati a uso di abitazione, su impianti industriali o cantieri, o su miniere, cave, sorgenti, o su acquedotti o altri manufatti destinati a raccogliere e condurre le acque;

 

3 su navi o altri edifici natanti, o su aeromobili;

 

4 su scali ferroviari o marittimi, o aeroscali, magazzini generali o altri depositi di merci o derrate, o su ammassi o depositi di materie esplodenti, infiammabili o combustibili;

 

5 su boschi, selve e foreste.

 

 

 

 

Art. 426

 

– Inondazione, frana o valanga –

 

Chiunque cagiona una inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

 

 

 

Art. 427

 

– Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga –

 

Chiunque rompe, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili chiuse, sbarramenti, argini, dighe o altre opere destinate alla difesa contro le acque, valanghe o frane, ovvero alla raccolta o alla condotta delle acque, al solo scopo di danneggiamento, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una inondazione o di una frana, ovvero della caduta di una valanga, con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Se il disastro si verifica, la pena della reclusione è da tre a dieci anni.

 

 

 

 

Art. 428

 

– Naufragio, sommersione o disastro aviatorio –

 

Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

 

La pena è della reclusione da cinque a quindici anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di sua proprietà, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.

 

 

 

Art. 429

 

– Danneggiamento seguito da naufragio –

 

Chiunque, al solo scopo di danneggiare una nave, un’edificio natante o un aeromobile, ovvero un apparecchio prescritto per la sicurezza della navigazione, lo deteriora, ovvero lo rende in tutto o in parte inservibile, è punito, se dal fatto deriva pericolo di naufragio, di sommersione o di disastro aviatorio, con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Se dal fatto deriva il naufragio, la sommersione o il disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

 

Art. 430

 

– Disastro ferroviario –

 

Chiunque cagiona un disastro ferroviario è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.

 

 

 

 

Art. 431

 

– Pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento –


Chiunque, al solo scopo di danneggiare una strada ferrata ovvero macchine, veicoli, strumenti, apparecchi o altri oggetti che servono all’esercizio di essa, li distrugge in tutto o in parte, li deteriora o li rende altrimenti in tutto o in parte inservibili, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di un disastro ferroviario, con la reclusione da due a sei anni.

 

Se dal fatto deriva il disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

Per “strade ferrate” la legge penale intende, oltre le strade ferrate ordinarie, ogni altra strada con rotaie metalliche, sulla quale circolino veicoli mossi dal vapore, dalla elettricità o da altro mezzo di trazione meccanica.

 

 

 

Art. 432

 

– Attentati alla sicurezza dei trasporti –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, pone in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti per terra, per acqua o per aria, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Si applica la reclusione da tre mesi a due anni a chi lancia corpi contundenti o proiettili contro veicoli in movimento, destinati a pubblici trasporti per terra, per acqua o per aria.

 

Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

 

Art. 433

 

  • Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbliche comunicazioni –

 

Chiunque attenta alla sicurezza delle officine, delle opere, degli apparecchi o di altri mezzi destinati alla produzione o alla trasmissione di energia elettrica o di gas, per la illuminazione o per le industrie, è punito, qualora dal fatto derivi pericolo alla pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.

 

La stessa pena si applica a chi attenta alla sicurezza delle pubbliche comunicazioni telegrafiche, qualora dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità.

 

Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

 

Art. 434

 

– Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.

 

La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.

 

 

 

 

 

Art. 435

 

– Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti –

 

Chiunque, al fine di attentare alla pubblica incolumità, fabbrica, acquista o detiene dinamite o altre materie esplodenti, asfissianti, accecanti, tossiche o infiammabili, ovvero sostanze che servono alla composizione o alla fabbricazione di esse, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

 

 

Art. 436

 

– Sottrazione, occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni –

 

Chiunque, in occasione di un incendio, di una inondazione, di una sommersione, di un naufragio, o di un altro disastro o pubblico infortunio, sottrae, occulta o rende inservibili materiali, apparecchi o altri mezzi destinati all’estinzione dell’incendio o all’opera di difesa, di salvataggio o di soccorso, ovvero in qualsiasi modo impedisce, od ostacola, che l’incendio sia estinto, o che sia prestata opera di difesa o di assistenza, è punito con la reclusione da due a sette anni.

 

 

 

Art. 437

 

– Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro –

 

Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 

Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

 

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI DI COMUNE PERICOLO MEDIANTE FRODE

 

Art. 438

 

– Epidemia –

 

Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo.

 

Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena di morte (1) .

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 439

 

– Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari –

 

Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.

 

Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l’ergastolo; e, nel caso di morte di più persone, si applica la pena di morte (1) .

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

Art. 440

 

– Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari –

 

Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio.

 

La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali.

 

 

 

 

Art. 441

 

– Adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute –

 

Chiunque adultera o contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, cose destinate al commercio, diverse da quelle indicate nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni o con la multa non inferiore a lire seicentomila.

 

 

 

Art. 442

 

– Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate –

 

Chiunque, senza essere concorso nei reati preveduti dai tre articoli precedenti, detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte in modo pericoloso alla salute pubblica, soggiace alle pene rispettivamente stabilite dai detti articoli.

 

 

 

Art. 443

 

– Commercio o somministrazione di medicinali guasti –

 

Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila.

 

 

 

Art. 444

 

– Commercio di sostanze alimentari nocive –

 

Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte nè adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire centomila.

 

La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve.

 

 

 

Art. 445

 

– Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica –

 

Chiunque, esercitando anche abusivamente, il commercio di sostanze medicinali, le somministra in specie, qualità o quantità non corrispondente alle ordinazioni mediche, o diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

 

 

Art. 446

 

– Confisca obbligatoria –

 

In caso di condanna per taluno dei delitti preveduti negli articoli 439, 440, 441 e 442, se dal fatto è derivata la morte o la lesione grave o gravissima di una persona, la confisca delle cose indicate nel primo comma dell’articolo 240 è obbligatoria (1).

 

  • L’originario articolo era stato abrogato dalla L. 22 dicembre 1975, n. 685. L’attuale articolo è stato inserito dal D.L. 18 giugno 1986, n. 282.

 

 

 

Art. 447

 

Abrogato dalla L. 22 dicembre 1975, n. 685.

 

 

 

 

Art. 448

 

– Pene accessorie –

 

La condanna per taluno dei delitti preveduti da questo capo importa la pubblicazione della sentenza.

 

La condanna per taluno dei delitti preveduti dagli articoli 439, 440, 441 e 442 importa l’interdizione da cinque a dieci anni dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere nonchè l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per lo stesso periodo. La condanna comporta altresì la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani a diffusione nazionale (1).

 

(1)Comma aggiunto dal D.L. 18 giugno 1986, n. 282.

 

 

 

 

Capo III: DEI DELITTI COLPOSI DI COMUNE PERICOLO

 

Art. 449

 

– Delitti colposi di danno –

 

Chiunque cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a trasporto di persone.

 

 

 

Art. 450

 

– Delitti colposi di pericolo –

 

Chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di un disastro ferroviario, di un’inondazione, di un naufragio, o della sommersione di una nave o di un altro edificio natante, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

La reclusione non è inferiore a un anno se il colpevole ha trasgredito ad una particolare ingiunzione dell’Autorità diretta alla rimozione del pericolo.

 

 

 

Art. 451

 

– Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro –

 

Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

 

 

Art. 452

 

– Delitti colposi contro la salute pubblica –

 

Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:

 

  • con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte

 

(1);

 

  • con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo;

 

  • con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.

 

Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.

 

(1)La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Titolo VII: DEI DELITTI CONTRO LA FEDE PUBBLICA

 

Capo I: DELLA FALSITÀ IN MONETE, IN CARTE DI PUBBLICO CREDITO E IN VALORI DI BOLLO


 

Art. 453

 

– Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate –

 

  • punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da lire un milione a sei milioni;

 

1) chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;

 

2) chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l’apparenza di un valore superiore;

 

  • chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, ma di concerto con chi l’ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;

 

  • chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.

 

 

 

Art. 454

 

– Alterazione di monete –

 

Chiunque altera monete della qualità indicata nell’articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei numeri 3 e 4 del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

 

 

Art. 455

 

– Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli ridotte da un terzo alla metà.

 

 

 

Art. 456

 

– Circostanze aggravanti –

 

Le pene stabilite negli articoli 453 e 455 sono aumentate se dai fatti ivi preveduti deriva una diminuzione nel prezzo della valuta o dei titoli di Stato, o ne è compromesso il credito nei mercati interni o esteri.

 

 

 

Art. 457

 

– Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede –

 

Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire due milioni.

 

Art. 458

 

– Parificazione delle carte di pubblico credito alle monete –

 

Agli effetti della legge penale, sono parificate alle monete le carte di pubblico credito.

 

Per “carte di pubblico credito” si intendono, oltre quelle che hanno corso legale come moneta, le carte e cedole al portatore emesse dai Governi, e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati.

 

 

 

Art. 459

 

  • Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati –

 

Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione o alterazione di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, o all’acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.

 

Agli effetti della legge penale si intendono per “valori di bollo” la carta bollata, le marche da bollo, i francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.

 

 

 

Art. 460

 

  • Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo –

 

Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o di valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta contraffatta, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire seicentomila a due milioni.

 

 

 

Art. 461

 

  • Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata –

 

Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

 

 

Art. 462

 

– Falsificazione di biglietti di pubblica impresa di trasporto –

 

Chiunque contraffà o altera biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, acquista o detiene al fine di metterli in circolazione,

 

o mette in circolazione tali biglietti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da lire ventimila a quattrocentomila.

 

 

 

Art. 463

 

– Casi di non punibilità –

 

Non è punibile chi, avendo commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli precedenti, riesce, prima che l’Autorità ne abbia notizia, a impedire la contraffazione, l’alterazione, la fabbricazione o la circolazione delle cose indicate negli articoli stessi.

 

 

 

Art. 464

 

– Uso di valori di bollo contraffatti o alterati –

 

Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nella alterazione, fa uso di valori di bollo contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire un milione.

 

Se i valori sono stati ricevuti in buona fede, si applica la pena stabilita nell’articolo 457, ridotta di un terzo.

 

 

 

 

Art. 465

 

– Uso di biglietti falsificati di pubbliche imprese di trasporto –

 

Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, fa uso di biglietti di strade ferrate o di altre pubbliche imprese di trasporto, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire ventimila a quattrocentomila.

 

Se i biglietti sono stati ricevuti in buona fede, si applica soltanto la multa fino a lire sessantamila.

 

 

 

 

Art. 466

 

– Alterazione di segni nei valori di bollo o nei biglietti usati e uso degli oggetti così alterati –

 

Chiunque cancella o fa in qualsiasi modo scomparire, da valori di bollo o da biglietti di strade ferrate o di altre di pubbliche imprese di trasporto, i segni appostivi per indicare l’uso già fattone, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire ventimila a quattrocentomila.

 

Alla stessa pena soggiace chi, senza essere concorso nell’alterazione, fa uso dei valori di bollo o dei biglietti alterati. Si applica la sola multa fino a lire sessantamila, se le cose sono state ricevute in buona fede.

 

 

 

Capo II: DELLA FALSITÀ IN SIGILLI O STRUMENTI O SEGNI DI AUTENTICAZIONE,

 

CERTIFICAZIONE O RICONOSCIMENTO

 

Art. 467

 

– Contraffazione del sigillo dello Stato e uso del sigillo contraffatto –

 

Chiunque contraffà il sigillo dello Stato, destinato a essere apposto sugli atti del Governo, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso di tale sigillo da altri contraffatto, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da lire duecentomila a quattro milioni.

 

 

 

Art. 468

 

  • Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli o strumenti contraffatti –

 

Chiunque contraffà il sigillo di un ente pubblico o di un pubblico ufficio, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso di tale sigillo contraffatto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

La stessa pena si applica a chi contraffà altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione, fa uso di tali strumenti.

 

 

 

Art. 469

 

– Contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione –

 

Chiunque, con mezzi diversi dagli strumenti indicati negli articoli precedenti, contraffà le impronte di una pubblica autenticazione o certificazione, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso della cosa che reca l’impronta contraffatta, soggiace alle pene rispettivamente stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.

 

 

 

Art. 470

 

  • Vendita o acquisto di cose con impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione

 

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati preveduti dagli articoli precedenti, pone in vendita o acquista cose sulle quali siano le impronte contraffatte di una pubblica autenticazione o certificazione, soggiace alle pene rispettivamente stabilite per i detti reati.

 

 

 

Art. 471

 

– Uso abusivo di sigilli e strumenti veri –

 

Chiunque, essendosi procurati i veri sigilli o i veri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ne fa uso a danno altrui, o a profitto di sè o degli altri, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire seicentomila.

 

Art. 472

 

– Uso e detenzione di misure o pesi con falsa impronta –

 

Chiunque fa uso, a danno altrui, di misure o di pesi con la impronta legale contraffatta o alterata, o comunque alterati, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.

 

La stessa pena si applica a chi nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi con l’impronta legale contraffatta o alterata, ovvero comunque alterati.

 

Agli effetti della legge penale, nella denominazione di “misure” o di “pesi” è compreso qualsiasi strumento per misurare o pesare.

 

 

 

Art. 473

 

– Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali –

 

Chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattro milioni.

 

Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.

 

Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

 

 

 

Art. 474

 

– Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi –

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall’articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire quattro milioni.

 

Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Art. 475

 

– Pena accessoria –

 

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dai due articoli precedenti importa la pubblicazione della sentenza.

 

 

 

Capo III: DELLA FALSITÀ IN ATTI

 

Art. 476

 

– Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici –

 

Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

 

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.

 

 

 

Art. 477

 

– Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative –

 

Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro validità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

 

 

Art. 478

 

  • Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti –

 

Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, supponendo esistente un atto pubblico o privato, ne simula una copia e la rilascia in forma legale, ovvero rilascia una copia di un atto pubblico o privato diversa dall’originale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a otto anni.

 

Se la falsità è commessa dal pubblico ufficiale in un attestato sul contenuto di atti, pubblici o privati, la pena è della reclusione da uno a tre anni.

 

 

 

Art. 479

 

– Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici –

 

Il pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’articolo 476.

 

 

 

Art. 480

 

– Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative –


Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

 

 

 

Art. 481

 

– Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità –

 

Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di pubblica necessità attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire centomila a un milione.

 

Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.

 

 

 

 

Art. 482

 

– Falsità materiale commessa dal privato –

 

Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.

 

 

 

Art. 483

 

– Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico –

 

Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.

 

 

 

 

Art. 484

 

– Falsità in registri e notificazioni –

 

Chiunque, essendo per legge obbligato a fare registrazioni soggette all’ispezione all’Autorità di pubblica sicurezza, o a fare notificazioni all’Autorità stessa circa le proprie operazioni industriali commerciali o professionali, scrive o lascia scrivere false indicazioni è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

 

 

 

Art. 485

 

 

– Falsità in scrittura privata –


Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata.

 

 

 

Art. 486

 

– Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato –

 

Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l’obbligo o la facoltà di riempirlo,

 

  • scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, è punito, se del foglio faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Si considera firmato in bianco il foglio in cui il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato ad essere riempito.

 

 

 

Art. 487

 

– Falsità in foglio firmato in bianco. Atto pubblico –

 

Il pubblico ufficiale, che, abusando di un foglio firmato in bianco del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio e per un titolo che importa l’obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o vi fa scrivere un atto pubblico diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, soggiace alle pene rispettivamente stabilite negli articoli 479 e 480.

 

 

 

Art. 488

 

– Altre falsità in foglio firmato in bianco. Applicabilità delle disposizioni sulle falsità materiali –

 

Ai casi di falsità su un foglio firmato in bianco diversi da quelli preveduti dai due articoli precedenti, si applicano le disposizioni sulle falsità materiali in atti pubblici o in scritture private.

 

 

 

Art. 489

 

– Uso di atto falso –

 

Chiunque, senza essere concorso nella falsità, fa uso di un atto falso soggiace alle pene stabilite negli articoli precedenti, ridotte di un terzo.

 

Qualora si tratti di scritture private, chi commette il fatto è punibile soltanto se ha agito al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.

 

Art. 490

 

– Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri –

 

Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico o una scrittura privata veri soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli artt. 476, 477, 482 e 485, secondo le distinzioni in essi contenute.

 

Si applica la disposizione del capoverso dell’articolo precedente.

 

 

 

 

Art. 491

 

– Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena –

 

Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, in luogo della pena stabilita per la falsità in scrittura privata nell’articolo 485, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476 e nell’articolo 482.

 

Nel caso di contraffazione o alterazione di alcuno degli atti suddetti, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell’articolo 489 per l’uso di atto pubblico falso.

 

 

 

Art. 491 bis

 

– Documenti informatici –

 

Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o privato, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private. A tal fine per documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli (1).

 

(1) Articolo aggiunto dall’art. 3, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 492

 

– Copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti –

 

Agli effetti delle disposizioni precedenti, nella denominazione di “atti pubblici” e di “scritture private” sono compresi gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti.

 

 

 

Art. 493

 

– Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico –

 

Le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità commesse da pubblici ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di un altro ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni.

 

 

 

Art. 493 bis

 

– Casi di perseguibilità a querela –

 

I delitti previsti dagli articoli 485 e 486 e quelli previsti dagli articoli 488, 489 e 490, quando concernono una scrittura privata, sono punibili a querela della persona offesa.

 

Si procede d’ufficio, se i fatti previsti dagli articoli di cui al precedente comma riguardano un testamento olografo (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Capo IV: DELLA FALSITÀ PERSONALE

 

Art. 494

 

– Sostituzione di persona –

 

Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sè o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.

 

 

 

Art. 495

 

  • Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri –

 

Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico.

 

La reclusione non è inferiore ad un anno:

 

  • se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;

 

  • se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’Autorità giudiziaria, ovvero se per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.

 

La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sè o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

 

 

 

Art. 496

 

– False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri –


Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire un milione.

 

 

 

Art. 497

 

– Frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale e uso indebito di tali certificati –

 

Chiunque si procura con frode un certificato del casellario giudiziale o un altro certificato penale relativo ad altra persona, ovvero ne fa uso per uno scopo diverso da quello per cui esso è domandato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.

 

 

 

Art. 498

 

– Usurpazione di titoli o di onori –

 

Chiunque abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l’abito ecclesiastico, è punito con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Alla stessa pena soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente.

 

La condanna importa la pubblicazione della sentenza

 

 

 

Libro secondo

 

DEI DELITTI IN PARTICOLARE

 

Titoli VIII e XIII

 

Titolo VIII: DEI DELITTI CONTRO L’ECONOMIA PUBBLICA,

 

L’INDUSTRIA E IL COMMERCIO

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO L’ECONOMIA PUBBLICA

 

Art. 499

 

– Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali ovvero di mezzi di produzione –

 

Chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, ovvero mezzi di produzione, cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale o far venir meno in misura notevole merci di comune o largo consumo, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa non inferiore a lire quattro milioni.

 

Art. 500

 

– Diffusione di una malattia delle piante o degli animali –

 

Chiunque cagiona la diffusione di una malattia alle piante o agli animali, pericolosa all’economia rurale o forestale, ovvero al patrimonio zootecnico della nazione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Se la diffusione avviene per colpa, la pena è della multa da lire duecentomila a quattro milioni.

 

 

 

 

Art. 501

 

– Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio –

 

Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifici atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da uno a cinquanta milioni di lire.

 

Se l’aumento o la diminuzione del prezzo delle merci o dei valori si verifica, le pene sono aumentate.

 

Le pene sono raddoppiate:

 

  • se il fatto è commesso dal cittadino per favorire interessi stranieri;

 

  • se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello Stato, ovvero il rincaro di merci di comune o largo consumo.

 

Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche se il fatto è commesso all’estero, in danno della valuta nazionale o di titoli pubblici italiani.

 

La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 27 novembre 1976, n. 787.

 

 

 

 

Art. 501 bis

 

– Manovre speculative su merci –

 

Fuori dei casi previsti dall’articolo precedente, chiunque, nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra od incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità, in modo atto a determinare la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da uno a cinquanta milioni di lire.

 

Alla stessa pena soggiace chiunque, in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci indicate nella prima parte del presente articolo e nell’esercizio delle medesime attività, ne sottrae alla utilizzazione o al consumo rilevanti quantità.

 

L’autorità giudiziaria competente e, in caso di flagranza, anche gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, procedono al sequestro delle merci, osservando le norme sull’istruzione formale. L’autorità giudiziaria competente dispone la vendita coattiva immediata delle merci stesse nelle forme di cui all’articolo 625 del codice di procedura penale.

 

La condanna importa l’interdizione dall’esercizio di attività commerciali o industriali per le quali sia richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte dell’autorità e la pubblicazione della sentenza (1) .

 

(1)Articolo aggiunto dalla L. 27 novembre 1976, n. 787.

 

 

 

 

Art. 502

 

– Serrata e sciopero per fini contrattuali –

 

Il datore di lavoro che, col solo scopo di imporre ai suoi dipendenti modificazioni ai patti stabiliti, o di opporsi a modificazioni di tali patti, ovvero di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sospende in tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende o uffici, è punito con la multa non inferiore a lire due milioni (1).

 

I lavoratori addetti a stabilimenti, aziende o uffici, che, in numero di tre o più, abbandonano collettivamente il lavoro, ovvero lo prestano in modo da turbarne la continuità o la regolarità, col solo scopo di imporre ai datori di lavoro patti diversi da quelli stabiliti, ovvero di opporsi a modificazioni di tali patti o, comunque, di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sono puniti con la multa fino a lire duecentomila (1).

 

  • Con sentenza n. 29 del 4 maggio 1960 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità del primo e del secondo comma di questo articolo, in riferimento agli artt. 39 e 40 Cost.

 

 

 

Art. 503

 

– Serrata e sciopero per fini non contrattuali –

 

Il datore di lavoro o i lavoratori, che per fine politico commettono, rispettivamente, alcuno dei fatti preveduti dall’articolo precedente, sono puniti con la reclusione fino a un anno e con la multa non inferiore a lire due milioni, se si tratta di un datore di lavoro, ovvero con la reclusione fino a sei mesi e con la multa fino a lire duecentomila, se si tratta di lavoratori (1).

 

  • Con sentenza n. 290 del 27 dicembre 1974 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo nella parte in cui punisce anche lo sciopero politico che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare.

 

 

 

Art. 504

 

– Coazione alla pubblica Autorità mediante serrata o sciopero –

 

Quando alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 502 è commesso con lo scopo di costringere l’Autorità a dare o ad omettere un provvedimento, ovvero con lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, si applica la pena della reclusione fino a due anni (1).

 

  • Con sentenza n. 165 del 13 giugno 1983 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo nella parte in cui punisce lo sciopero il quale ha lo scopo di costringere l’autorità a dare o ad omettere un provvedimento o lo scopo di influire sulle deliberazioni di essa, a meno che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare.

 

 

 

Art. 505

 

– Serrata o sciopero a scopo di solidarietà o di protesta –

 

Il datore di lavoro o i lavoratori, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commettono uno dei fatti preveduti dall’articolo 502 soltanto per solidarietà con altri datori di lavoro o con altri lavoratori ovvero soltanto per protesta, soggiacciono alle pene ivi stabilite.

 

 

 

Art. 506

 

– Serrata di esercenti di piccole industrie o commerci –

 

Gli esercenti di aziende industriali o commerciali, i quali, non avendo lavoratori alla loro dipendenza, in numero di tre o più sospendono collettivamente il lavoro per uno degli scopi indicati nei tre articoli precedenti, soggiacciono alle pene ivi rispettivamente stabilite per i datori di lavoro, ridotte alla metà (1).

 

  • Con sentenza n. 222 del 17 luglio 1975 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo in relazione all’art. 505, nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro effettuata per protesta dagli esercenti di piccole aziende industriali o commerciali che non hanno lavoratori alla loro dipendenza.

 

 

 

Art. 507

 

– Boicottaggio –

 

Chiunque, per uno degli scopi indicati negli articoli 502, 503, 504 e 505, mediante propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, induce una o più persone a non stipulare patti di lavoro o a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altrui prodotti agricoli o industriali, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

Se concorrono fatti di violenza o minaccia, si applica la reclusione da due a sei anni (1).

 

  • Con sentenza n. 84 del 17 aprile 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo per la parte relativa all’ipotesi della propaganda qualora questa non assuma dimensioni tali nè raggiunga un grado tale di intensità e di efficacia da risultare veramente notevole.

 

 

 

Art. 508

 

– Arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali. Sabotaggio –

 

Chiunque, col solo scopo di impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro, invade od occupa l’altrui azienda agricola o industriale, ovvero dispone di altrui macchine, scorte, apparecchi o strumenti destinati alla produzione agricola o industriale, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila.

 

Soggiace alla reclusione da sei mesi a quattro anni e alla multa non inferiore a lire un milione, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, chi danneggia gli edifici adibiti ad azienda agricola o industriale, ovvero un’altra delle cose indicate nella disposizione precedente.

 

 

 

Art. 509

 

– Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro – (1)

 

Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale non adempie gli obblighi che gli derivano da un contratto collettivo o dalle norme emanate dagli organi corporativi, è punito con la sanzione amministrativa da lire duecentomila a lire un milione (2) .

 

Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale rifiuta o, comunque, omette di eseguire una decisione del magistrato del lavoro, pronunciata su una controversia relativa alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni (3) .

 

  • Rubrica così modificata dall’art. 1, lett. a) , D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 a decorrere dal 26 aprile 1995.

 

Testo della rubrica prima della modifica apportata dall’art. 1, lett. a), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758

 

(Inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro e delle decisioni del magistrato del lavoro)

 

  • Comma così modificato dall’art. 1, lett. b), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 a decorrere dal 26 aprile 1995.

 

Testo del comma 1 prima della modificata apportata dall’art. 1, lett. b), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758

 

Il datore di lavoro o il lavoratore, il quale non adempie gli obblighi che gli derivano da un contratto collettivo o dalle norme emanate dagli organi corporativi, è punito con la multa fino a lire un milione.

 

(3) Comma abrogato dall’art. 1, lett. c), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 a decorrere dal 26 aprile 1995.

 

 

 

 

Art. 510

 

– Circostanze aggravanti –

 

Quando i fatti preveduti dagli articoli 502 e seguenti sono commessi in tempo di guerra, ovvero hanno determinato dimostrazioni, tumulti o sommosse popolari, le pene stabilite negli articoli stessi sono aumentate.

 

 

 

Art. 511

 

– Pena per i capi, promotori e organizzatori –

 

Le pene stabilite per i delitti preveduti dagli articoli 502 e seguenti sono raddoppiate per i capi, promotori od organizzatori; e, se sia stabilita dalla legge la sola pena pecuniaria, è aggiunta la reclusione da sei mesi a due anni.

 

 

 

Art. 512

 

– Pena accessoria –

 

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 502 e seguenti importa l’interdizione da ogni ufficio sindacale per la durata di anni cinque.

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO L’INDUSTRIA E IL COMMERCIO

 

Art. 513

 

– Turbata libertà dell’industria o del commercio –

 

Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio di un’industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

 

 

Art. 513 bis

 

– Illecita concorrenza con minaccia o violenza –

 

Chiunque nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di concorrenza con violenza o minaccia, è punito con la reclusione da due a sei anni.

 

La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un’attività finanziata in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici (1).

 

(1)Articolo aggiunto dalla L. 13 settembre 1982, n. 646.

 

 

 

 

Art. 514

 

– Frodi contro le industrie nazionali –

 

Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire un milione.

 

Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.

 

 

 

Art. 515

 

– Frode nell’esercizio del commercio –

 

Chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire quattro milioni.

 

Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a lire duecentomila.

 

 

 

Art. 516

 

– Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine –

 

Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire due milioni.

 

 

 

Art. 517

 

– Vendita di prodotti industriali con segni mendaci –

 

Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.

 

 

 

Capo III: DISPOSIZIONE COMUNE AI CAPI PRECEDENTI

 

Art. 518

 

– Pubblicazione della sentenza –

 

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 501, 514, 515, 516 e 517 importa la pubblicazione della sentenza.

 

 

 

Titolo IX: DEI DELITTI CONTRO LA MORALITÀ PUBBLICA E IL BUON COSTUME

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ SESSUALE

 

Art. 519

 

– Della violenza carnale –

 

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona la quale al momento del fatto:

 

  • non ha compiuto gli anni quattordici;

 

  • non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l’ascendente o il tutore, ovvero è un’altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d’istruzione, di vigilanza o di custodia;

 

  • è malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni d’inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole;

 

  • è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66

 

 

 

 

Art. 520

 

– Congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale –

 

Il pubblico ufficiale, che, fuori dei casi preveduti nell’articolo precedente, si congiunge carnalmente con una persona arrestata o detenuta, di cui ha la custodia per ragione del suo ufficio, ovvero con persona che è a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità competente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale, rivestito, per ragione del suo ufficio, di qualsiasi autorità sopra taluna delle persone suddette.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 521

 

– Atti di libidine violenti –

 

Chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo.

 

Alle stesse pene soggiace chi, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 522

 

– Ratto a fine di matrimonio –

 

Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di matrimonio, una donna non coniugata, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Se il fatto è commesso in danno di una persona dell’uno o dell’altro sesso, non coniugata, maggiore degli anni quattordici e minore degli anni diciotto, la pena è della reclusione da due a cinque anni.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

 

Art. 523

 

– Ratto a fine di libidine –

 

Chiunque, con violenza, minaccia o inganno, sottrae o ritiene, per fine di libidine, un minore, ovvero una donna maggiore di età, è punito con la reclusione da tre a cinque anni.

 

La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di persona che non ha ancora compiuto gli anni diciotto ovvero di una donna coniugata.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 524

 

– Ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma, a fine di libidine o di matrimonio –

 

Le pene stabilite nei capoversi dei due articoli precedenti si applicano anche a chi commette il fatto ivi preveduto, senza violenza, minaccia o inganno, in danno di persona minore degli anni quattordici o malata di mente, o che non sia, comunque, in grado di resistergli, a cagione delle proprie condizioni d’infermità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 525

 

– Circostanze attenuanti –

 

Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono diminuite se il colpevole, prima della condanna, senza avere commesso alcun atto di libidine in danno della persona rapita, la restituisce spontaneamente in libertà, riconducendola alla casa donde la tolse o a quella della famiglia di lei, o collocandola in un altro luogo sicuro, a disposizione della famiglia stessa.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 526

 

– Seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata –

 

Chiunque, con promessa di matrimonio, seduce una donna minore di età, inducendola in errore sul proprio stato di persona coniugata, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

 

Vi è seduzione quando vi è stata congiunzione carnale.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Capo II: DELLE OFFESE AL PUDORE E ALL’ONORE SESSUALE

 

Art. 527

 

– Atti osceni –


Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

 

Se il fatto avviene per colpa, la pena è della multa da lire sessantamila a seicentomila.

 

 

 

 

Art. 528

 

– Pubblicazioni e spettacoli osceni –

 

Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri atti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila.

 

Alla stessa pena soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente.

 

Tale pena si applica inoltre a chi:

 

  • adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte di questo articolo;

 

  • dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità.

 

Nel caso preveduto dal n. 2, la pena è aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell’Autorità.

 

 

 

 

Art. 529

 

– Atti e oggetti osceni: nozione –

 

Agli effetti della legge penale, si considerano “osceni” gli atti e gli oggetti, che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.

 

Non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo, che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto.

 

 

 

Art. 530

 

– Corruzione di minorenni –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli 519, 520 e 521, commette atti di libidine su persona o in presenza di persona minore degli anni sedici, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi induce persona minore degli anni sedici a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole, o su altri.

 

La punibilità è esclusa se il minore è persona già moralmente corrotta.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66

 

 

 

Art. 531

 

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

 

 

 

Art. 532

 

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

 

 

 

Art. 533

 

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

 

 

 

Art. 534

 

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

 

 

 

Art. 535

 

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

 

 

 

Art. 536

 

Abrogato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, che ne ha sostituito le disposizioni.

 

 

 

 

Art. 537

 

– Tratta di donne e di minori commessa all’estero –

 

I delitti preveduti dai due articoli precedenti sono punibili anche se commessi da un cittadino in territorio estero (1).

 

(1) In quanto le convenzioni internazionali lo prevedano (art. 3, L. 20 febbraio 1958, n. 75).

 

 

 

 

Art. 538

 

– Misure di sicurezza –


Alla condanna per il delitto preveduto dall’articolo 531 può essere aggiunta una misura di sicurezza detentiva. La misura di sicurezza detentiva è sempre aggiunta nei casi preveduti dagli articoli 532, 533, 534, 535 e 536.

 

 

 

Capo III: DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI

 

Art. 539

 

– Età della persona offesa –

 

Quando i delitti preveduti in questo titolo sono commessi in danno di un minore degli anni quattordici, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età dell’offeso.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 540

 

– Rapporto di parentela –

 

Agli effetti della legge penale, quando il rapporto di parentela è considerato come elemento costitutivo o come circostanza aggravante o attenuante o come causa di non punibilità, la filiazione illegittima è equiparata alla filiazione legittima.

 

Il rapporto di filiazione illegittima è stabilito osservando i limiti di prova indicati dalla legge civile, anche se per effetti diversi dall’accertamento dello stato delle persone.

 

 

 

Art. 541

 

– Pene accessorie ed altri effetti penali –

 

La condanna per alcuno dei delitti preveduti in questo titolo importa la perdita della potestà dei genitori o della autorità maritale o l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla cura, quando la qualità di genitore, di marito, di tutore o di curatore è elemento costitutivo o circostanza aggravante.

 

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 519, 521, 530, 531, 532, 533, 534, 535, 536 e 537 importa la perdita del diritto agli alimenti e dei diritti successori verso la persona offesa.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 542

 

– Querela dell’offeso –

 

I delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530 sono punibili a querela della persona offesa.

 

La querela proposta è irrevocabile.

 

Si procede tuttavia d’ufficio:

 

  • se il fatto è commesso dal genitore o dal tutore, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio;

 

  • se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 543

 

– Diritto di querela –

 

Quando la persona offesa muore prima che la querela sia proposta da lei o da coloro che ne hanno la rappresentanza a norma degli articoli 120 e 121, il diritto di querela spetta ai genitori e al coniuge.

 

Tale disposizione non si applica se la persona offesa ha rinunciato, espressamente o tacitamente, al diritto di querelarsi.

 

Articolo abrogato dall’art. 1 della L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 544

 

Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

 

 

 

Titolo X: DEI DELITTI CONTRO LA INTEGRITÀ E LA SANITÀ DELLA STIRPE

 

Art. 545

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 546

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 547

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 548

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

Art. 549

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 550

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 551

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 552

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 553

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 554

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Art. 555

 

Abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 194.

 

 

 

 

Titolo XI: DEI DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO IL MATRIMONIO

 

Art. 556

 

– Bigamia –

 

Chiunque, essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pur avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili.

 

La pena è aumentata se il colpevole ha indotto in errore la persona, con la quale ha contratto matrimonio, sulla libertà dello stato proprio o di lei.

 

Se il matrimonio, contratto precedentemente dal bigamo, è dichiarato nullo, ovvero è annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia, il reato è estinto, anche rispetto a coloro che sono concorsi nel reato, e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

 

 

 

Art. 557

 

– Prescrizione del reato –

 

Il termine della prescrizione per il delitto preveduto dall’articolo precedente decorre dal giorno in cui è sciolto uno dei due matrimoni o è dichiarato nullo il secondo per bigamia.

 

 

 

Art. 558

 

– Induzione al matrimonio mediante inganno –

 

Chiunque, nel contrarre matrimonio avente effetti civili, con mezzi fraudolenti occulta all’altro coniuge l’esistenza di un impedimento che non sia quello derivante da un precedente matrimonio è punito, se il matrimonio è annullato a causa dell’impedimento occultato, con la reclusione fino a un anno ovvero con la multa da lire quattrocentomila a due milioni.

 

 

 

Art. 559

 

– Adulterio –

 

La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno (1).

 

Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera (1).

 

La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina (2).

 

Il delitto è punibile a querela del marito (2).

 

  • Con sentenza n. 126 del 19 dicembre 1968 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità del primo e del secondo comma.

 

  • Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità del terzo e del quarto comma.

 

 

 

Art. 560

 

– Concubinato –

 

Il marito che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

La concubina è punita con la stessa pena.

 

Il delitto è punibile a querela della moglie (1).

 

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo.

 

 

 

 

Art. 561

 

– Casi di non punibilità. Circostanza attenuante –

 

Nel caso preveduto dall’articolo 559, non è punibile la moglie quando il marito l’abbia indotta o eccitata alla prostituzione ovvero abbia comunque tratto vantaggio dalla prostituzione di lei.

 

Nei casi preveduti dai due articoli precedenti non è punibile il coniuge legalmente separato per colpa dell’altro coniuge, ovvero da questo ingiustamente abbandonato.

 

Se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato per colpa propria o per colpa propria e dell’altro coniuge o per mutuo consenso, la pena è diminuita (1).

 

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo.

 

 

 

 

Art. 562

 

– Pena accessoria e sanzione civile –

 

La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 556 e 560 importa la perdita dell’autorità maritale (1).

 

Con la sentenza di condanna per adulterio o per concubinato il giudice può, sull’istanza del coniuge offeso, ordinare i provvedimenti temporanei di indole civile, che ritenga urgenti nell’interesse del coniuge offeso e della prole (2).

 

Tali provvedimenti sono immediatamente eseguibili, ma cessano di aver effetto se, entro tre mesi dalla sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, non è presentata dinanzi al giudice civile domanda di separazione personale (2).

 

  • Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità del primo comma nella parte relativa alla perdita dell’autorità maritale per effetto della condanna per il delitto di concubinato.

 

  • Con la sentenza di cui alla nota precedente la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità del secondo e del terzo comma.

 

 

 

Art. 563

 

– Estinzione del reato –

 

Nei casi preveduti dagli articoli 559 e 560 la remissione della querela, anche se intervenuta dopo la condanna, estingue il reato.

 

Estinguono altresì il reato:

 

  • la morte del coniuge offeso;

 

  • l’annullamento del matrimonio del colpevole adulterino o di concubinato.

 

L’estinzione del reato ha effetto anche riguardo al correo e alla concubina e ad ogni persona che sia concorsa nel reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali (1).

 

(1) Con sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo.

 

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO LA MORALE FAMILIARE

 

Art. 564

 

– Incesto –

 

Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa.

 

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l’incesto è commesso da persona maggiore di età, con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne.

 

La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà dei genitori o della tutela legale.

 

 

 

 

Art. 565

 

– Attentati alla morale familiare commessi col mezzo della stampa periodica –

 

Chiunque nella cronaca dei giornali o di altri scritti periodici, nei disegni che ad essa si riferiscono, ovvero nelle inserzioni fatte a scopo di pubblicità sugli stessi giornali o scritti, espone o mette in rilievo circostanze tali da offendere la morale familiare, è punito con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

 

 

Capo III: DEI DELITTI CONTRO LO STATO DI FAMIGLIA

 

Art. 566

 

– Supposizione o soppressione di stato –

 

Chiunque fa figurare nei registri dello stato civile una nascita inesistente è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi, mediante l’occultamento di un neonato, ne sopprime lo stato civile.

 

 

 

 

Art. 567

 

– Alterazione di stato –


Chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

 

Si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità.

 

 

 

Art. 568

 

– Occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto –

 

Chiunque depone o presenta un fanciullo, già iscritto nei registri dello stato civile come figlio legittimo o naturale riconosciuto, in un ospizio di trovatelli o in altro luogo di beneficenza, occultandone lo stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

 

 

Art. 569

 

– Pena accessoria –

 

La condanna pronunciata contro il genitore per alcuno dei delitti preveduti da questo capo importa la perdita della potestà dei genitori o della tutela legale.

 

 

 

Capo IV: DEI DELITTI CONTRO L’ASSISTENZA FAMILIARE

 

Art. 570

 

– Violazione degli obblighi di assistenza familiare –

 

Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, alla tutela legale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

 

  • malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;

 

  • fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma (1) .

 

Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.

 

(1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

 

Art. 571

 

– Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina –

 

Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

 

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.

 

 

 

Art. 572

 

– Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli –

 

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.

 

 

 

Art. 573

 

– Sottrazione consensuale di minorenni –

 

Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la potestà dei genitori, o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a due anni.

 

La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine.

 

Si applicano le disposizioni degli artt. 525 e 544.

 

 

 

 

Art. 574

 

– Sottrazione di persone incapaci –

 

Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o curatore, con la reclusione da uno a tre anni.

 

Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.

 

Si applicano le disposizioni degli artt. 525 e 544.

 

 

 

Titolo XII: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO LA VITA E L’INCOLUMITÀ INDIVIDUALE

 

Art. 575

 

– Omicidio –

 

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.

 

 

 

 

Art. 576

 

– Circostanza aggravanti. Pena di morte –

 

. Si applica la pena di morte (1) se il fatto preveduto dall’articolo precedente è commesso:

 

  • col concorso di taluna delle circostanze indicate nel n. 2 dell’articolo 61;

 

  • contro l’ascendente o il discendente, quando occorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61 o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso ovvero quando vi è premeditazione;

 

  • dal latitante, per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;

 

  • dall’associato per delinquere, per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione;

 

  • nell’atto di commettere taluno dei delitti preveduti dagli articoli 519, 520 e 521.

 

  • latitante, agli effetti della legge penale, chi si trova nelle condizioni indicate nel n. 6 dell’articolo 61.

 

(1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.

 

 

 

 

Art. 577

 

– Altre circostanze aggravanti. Ergastolo –

 

Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo 575 è commesso:

 

  • contro l’ascendente o il discendente;

 

  • col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;

 

  • con premeditazione;

 

  • con concorso di talune delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61.

 

La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo o contro un affine in linea retta.

 

 

 

Art. 578

 

– Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale –

 

La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni.

 

A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi.

 

Non si applicano le aggravanti stabilite dall’articolo 61 del codice penale (1).

 

(1)Articolo così sostituito dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

 

 

 

Art. 579

 

– Omicidio del consenziente –

 

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

 

Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.

 

Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:

 

  • contro una persona minore degli anni diciotto;

 

  • contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizione di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

 

  • contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

 

 

 

Art. 580

 

– Istigazione o aiuto al suicidio –

 

Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.

 

Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio.

 

 

 

Art. 581

 

– Percosse –

 

Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

 

Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.

 

 

 

Art. 582

 

– Lesione personale –

 

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.

 

Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa (1).

 

(1)Articolo così modificato dalla L. 26 gennaio 1963, n. 24. Il secondo comma è stato successivamente così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

Art. 583

 

– Circostanze aggravanti –

 

La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni:

 

  • se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;

 

  • se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo;

 

  • se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva l’acceleramento del parto (1).

 

La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:

 

  • una malattia certamente o probabilmente insanabile;

 

  • la perdita di un senso;

 

  • la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;

 

  • la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;

 

  • l’aborto della persona offesa (1).

 

(1) Numero abrogato dalla L. 22 maggio 1978, n. 124.

 

Art. 584

 

– Omicidio preterintenzionale –

 

Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.

 

 

 

Art. 585

 

– Circostanze aggravanti –

 

Nei casi preveduti dagli artt. 582, 583 e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall’articolo 576; ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall’articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive.

 

Agli effetti della legge penale, per “armi” s’intendono:

 

  • quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona;

 

  • tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.

 

Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.

 

 

 

 

Art. 586

 

– Morti o lesioni come conseguenza di altro delitto –

 

Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate.

 

 

 

Art. 587

 

Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

 

 

 

Art. 588

 

– Rissa –

 

Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a lire seicentomila.

 

Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se l’uccisione, o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.

 

Art. 589

 

– Omicidio colposo –

 

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

 

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici (1).

 

(1) Articolo così modificato dalla L. 11 maggio 1966, n. 296.

 

 

 

 

Art. 590

 

– Lesioni personali colpose –

 

Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

 

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da lire duecentoquarantamila a un milione duecentomila; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da lire seicentomila a due milioni quattrocentomila.

 

Se i fatti di cui al precedente capoverso sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da due a sei mesi o della multa da lire quattrocentottantamila a un milione duecentomila; e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da sei mesi a due anni o della multa da lire un milione duecentomila a due milioni quattrocentomila (1).

 

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale (2).

 

  • Comma aggiunto dalla L. 11 maggio 1966, n. 296.

 

  • Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 591

 

– Abbandono di persone minori o incapaci –

 

Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere la cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.

 

La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.

 

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato.

 

 

 

Art. 592

 

Abrogato dalla L. 5 agosto 1981, n. 442.

 

 

 

 

Art. 593

 

– Omissione di soccorso –

 

Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace

 

di provvedere a se stessa, per malattia di mente e di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne

immediato avviso all’Autorità, è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

 

Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità.

 

Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO L’ONORE

 

Art. 594

 

– Ingiuria –

 

Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.

 

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

 

La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire due milioni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

 

Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.

 

 

 

 

Art. 595

 

– Diffamazione –

 

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.

 

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni.

 

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.

 

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

 

 

 

Art. 596

 

– Esclusione della prova liberatoria –

 

Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa.

 

Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo.

 

Quando l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:

 

  • se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;

 

  • se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;

 

  • se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.

 

Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito è, per esso condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore della imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per sè stessi applicabili le disposizioni dell’articolo 594, comma primo, ovvero dell’articolo 595 comma primo (1).

 

(1) Articolo così modificato dal D.Lgs.Lgt. 14 novembre 1944, n. 288.

 

 

 

 

Art. 596 bis

 

– Diffamazione col mezzo della stampa –

 

Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore o vice-direttore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57 bis e 58 (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 4 marzo 1958, n. 595.

 

 

 

 

 

Art. 597

 

– Querela della persona offesa ed estinzione del reato –

 

I delitti preveduti dagli articoli 594 e 595 sono punibili a querela della persona offesa.

 

Se la persona offesa e l’offensore hanno esercitato la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente, la querela si considera tacitamente rinunciata o rimessa.

 

Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria del defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l’adottante e l’adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo aver proposta la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente, spetta ai prossimi congiunti, all’adottante e all’adottato.

 

 

 

Art. 598

 

– Offese in scritti e discorsi pronunciati dinnanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative –

 

Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi a un’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo.

 

Il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazione della sentenza.

 

 

 

Art. 599

 

– Ritorsione e provocazione –

 

Nei casi preveduti dall’articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.

 

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

 

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all’offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute.

 

 

 

Capo III: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE

 

Sezione I: DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ INDIVIDUALE

 

Art. 600

 

– Riduzione in schiavitù –

 

Chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.

 

Art. 601

 

– Tratta e commercio di schiavi –

 

Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a venti anni.

 

 

 

Art. 602

 

– Alienazione e acquisto di schiavi –

 

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, aliena o cede una persona che si trova in stato di schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù, o se ne impossessa o ne fa acquisto o la mantiene nello stato di schiavitù, o nella condizione predetta, è punito con la reclusione da tre a dodici anni.

 

 

 

Art. 603

 

– Plagio –

 

Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni (1).

 

(1) Con sentenza n. 96 del 9 aprile 1981 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo.

 

 

 

 

Art. 604

 

– Fatto commesso all’estero in danno di cittadino italiano –

 

Le disposizioni di questa sezione si applicano altresì, quando il fatto è commesso all’estero in danno di cittadino italiano.

 

 

 

Sezione II: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ PERSONALE

 

Art. 605

 

– Sequestro di persona –

 

Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni.

 

La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso:

 

  • in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge;

 

  • da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.

 

Art. 606

 

– Arresto illegale –

 

Il pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

 

 

Art. 607

 

– Indebita limitazione di libertà personale –

 

Il pubblico ufficiale, che, essendo preposto o addetto a un carcere giudiziario o ad uno stabilimento destinato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, vi riceve taluno senza un ordine dell’Autorità competente, o non obbedisce all’ordine di liberazione dato da questa Autorità, ovvero indebitamente protrae l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

 

 

Art. 608

 

– Abuso di autorità contro arrestati o detenuti –

 

Il pubblico ufficiale, che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia, anche temporanea o che sia a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità competente, è punito con la reclusione fino a trenta mesi.

 

La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro pubblico ufficiale, rivestito, per ragione del suo ufficio, di una qualsiasi autorità sulla persona custodita.

 

 

 

Art. 609

 

– Perquisizione e ispezione personali arbitrarie –

 

Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione o un’ispezione personale, è punito con la reclusione fino ad un anno.

 

 

 

Art. 609 bis

 

– Violenza sessuale –

 

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

 

  • abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento dei fatto;

 

  • traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

 

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

 

Articolo aggiunto dell’art. 3, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609 ter

 

– Circostanze aggravanti –

 

La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609-bis sono commessi:

 

  • nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

 

  • con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

 

  • da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;

 

  • su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

 

  • nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.

 

La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.

 

Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609 quater

 

– Atti sessuali con minorenne –

 

Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che al momento del fatto:

 

  • non ha compiuto gli anni quattordici;

 

  • non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.

 

Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.

 

Nei casi di minore gravità le pena è diminuita fino a due terzi.

 

Si applica la pena di cui all’articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.

 

Articolo aggiunto dall’art. 5, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609 quinquies

 

– Corruzione di minorenne –

 

Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Articolo aggiunto dall’art. 6, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609 sexies

 

– Ignoranza dell’età della persona –

 

Quando i delitti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies sono commessi in danno di persona minore di anni quattordici, nonchè nel caso del delitto di cui all’articolo 609-quinquies, il colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa.

 

Articolo aggiunto dall’art. 7, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609-septies

 

– Querela di parte –

 

I delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter e 609-quater sono punibili a querela della persona offesa.

 

Salvo quanto previsto dall’articolo 597, terzo comma, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi.

 

La querela proposta è irrevocabile.

 

Si procede tuttavia d’ufficio:

 

  • se il fatto di cui all’articolo 609-bis è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici;

 

  • se il fatto è commesso dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia;

 

  • se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni;

 

  • se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio;

 

  • se il fatto è commesso nell’ipotesi di cui all’articolo 609-quater, ultimo comma.

 

Articolo aggiunto dall’art. 8, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609 octies

 

– Violenza sessuale di gruppo –


La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis.

 

Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

 

La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609-ter.

 

La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112.

 

Articolo aggiunto dall’art. 9, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609 nonies

 

– Pene accessorie ed altri effetti penali –

 

La condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies comporta:

 

  • la perdita della potestà del genitore, quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato;

 

  • l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela;

 

  • la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa.

 

Articolo aggiunto dall’art. 10, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

Art. 609-decies

 

– Comunicazione al tribunale per i minorenni –

 

Quando si procede per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quinquies e 609-octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609-quater, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.

 

Nei casi previsti dal primo comma l’assistenza effettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede.

 

In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali.

 

Dei servizi indicati nel terzo comma si avvale altresì l’autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento.

 

Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 15 febbraio 1996, n. 66.

 

 

 

 

 

Sezione III: DEI DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ MORALE

 

Art. 610

 

– Violenza privata –

 

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

 

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.

 

 

 

 

Art. 611

 

– Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato –

 

Chiunque usa violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni.

 

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.

 

 

 

 

Art. 612

 

– Minaccia –

 

Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire centomila.

 

Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio.

 

 

 

Art. 613

 

– Stato di incapacità procurato mediante violenza –

 

Chiunque, mediante suggestione ipnotica o in veglia o mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il consenso di lei, in stato d’incapacità d’intendere o di volere, è punito con la reclusione fino a un anno.

 

Il consenso dato dalle persone indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo 579 non esclude la punibilità.

 

La pena è della reclusione fino a cinque anni:

 

  • se il colpevole ha agito col fine di far commettere un reato;

 

  • se la persona resa incapace commette, in tale stato, un fatto preveduto dalla legge come delitto.

 

 

 

 

Sezione IV: DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEL DOMICILIO

 

Art. 614

 

– Violazione di domicilio –

 

Chiunque si introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

La pena è da uno a cinque anni, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.

 

 

 

Art. 615

 

– Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale –

 

Il pubblico ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, s’introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

 

Se l’abuso consiste nell’introdursi nei detti luoghi senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, la pena è della reclusione fino a un anno.

 

 

 

Art. 615 bis

 

– Interferenze illecite nella vita privata –

 

Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

 

Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde mediante qualsiasi mezzo d’informazione al pubblico le notizie o le immagini, ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.

 

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione d’investigatore privato (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 8 aprile 1974, n. 98.

 

 

 

 

Art. 615 ter

 

– Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico –

 

Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni:

 

  • se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;

 

  • se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;

 

  • se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.

 

Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.

 

Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio (1).

 

(1)Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 615 quater

 

– Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici –

 

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a lire dieci milioni.

 

La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da lire dieci milioni a venti milioni se ricorre taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell’articolo 617 quater (1).

 

(1) Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 615 quinquies

 

– Diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico –

 

Chiunque diffonde, comunica o consegna un programma informatico da lui stesso o da altri redatto, avente per scopo o per effetto il danneggiamento di un sistema informatico o telematico, dei dati o dei programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti, ovvero l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, è punito con la reclusione sino a due anni e con la multa sino a lire venti milioni (1).

 

(1)Articolo aggiunto dall’art. 4, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Sezione V: DEI DELITTI CONTRO LA INVIOLABILITÀ DEI SEGRETI

 

Art. 616

 

– Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza –

 

Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prendere o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza (1).

 

(1) Comma così sostituito dall’art. 5, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 617

 

  • Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche –

 

Chiunque, fraudolentemente prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni indicate nella prima parte di questo articolo.

 

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione d’investigatore privato (1).

 

(1)Articolo così sostituito dalla L. 8 agosto 1974, n. 98.

 

 

 

 

Art. 617 bis

 

  • Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche –

 

Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine d’intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico

 

servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 8 agosto 1974, n. 98.

 

 

 

 

Art. 617 ter

 

  • Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche –

 

Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma falsamente, in tutto o in parte, il testo di una comunicazione o di una conversazione telegrafica o telefonica ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto di una comunicazione o di una conversazione telegrafica o telefonica vera, anche solo occasionalmente intercettata, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 8 agosto 1974, n. 98.

 

 

 

 

Art. 617 quater

 

– Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche –

 

Chiunque fraudolentamente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.

 

I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.

 

Tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:

 

  • in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;

 

  • da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;

 

  • da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato (1).

 

(1) Articolo aggiunto dall’art. 6, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

 

Art. 617 quinquies

 

  • Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche –

 

Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617 quater (1).

 

(1)Articolo aggiunto dall’art. 6, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 617 sexies

 

  • Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche –

 

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, forma falsamente ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto, anche occasionalmente intercettato, di taluna delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne facciano uso, con la reclusione da uno a quattro anni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617 quater (1).

 

(1) Articolo aggiunto dall’art. 6, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 618

 

– Rivelazioni del contenuto di corrispondenza –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 616, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

 

 

 

Art. 619

 

  • Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza commesse da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi e dei telefoni –

 

L’addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, il quale, abusando di tale qualità, commette alcuno dei fatti preveduti dalla prima parte dell’articolo 616, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

 

 

Art. 620

 

  • Rivelazione del contenuto di corrispondenza, commessa da persona addetta al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni –

 

L’addetto al servizio delle poste, dei telegrafi o dei telefoni, che, avendo notizia, in questa sua qualità, del contenuto di una corrispondenza aperta, o di una comunicazione telegrafica, o di una conversazione telefonica, lo rivela senza giusta causa ad altri che non sia il destinatario, ovvero a una persona diversa da quelle tra le quali la comunicazione o la conversazione è interceduta, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

 

 

Art. 621

 

– Rivelazione del contenuto di documenti segreti –

 

Chiunque, essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto, che debba rimanere segreto, di altrui atti o documenti, pubblici o privati, non costituenti corrispondenza, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Agli effetti della disposizione di cui al primo comma è considerato documento anche qualunque supporto informatico contenente dati, informazioni o programmi (1).

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

(1) Comma aggiunto dall’art. 7, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 622

 

– Rivelazione di segreto professionale –

 

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

 

 

 

Art. 623

 

– Rivelazione di segreti scientifici o industriali –

 

Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

 

 

 

Art. 623 bis

 

– Altre comunicazioni e conversazioni –

 

Le disposizioni contenute nella presente sezione, relative alle comunicazioni e conversazioni telegrafiche, telefoniche, informatiche o telematiche, si applicano a qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini od altri dati (1).

 

(1) Articolo così sostituito dall’art. 8, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Titolo XIII: DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

 

Capo I: DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

 

MEDIANTE VIOLENZA ALLE COSE O ALLE PERSONE

 

Art. 624

 

– Furto –

 

Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sè o per altri è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire sessantamila a un milione.

 

Agli effetti della legge penale, si considera “cosa mobile” anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.

 

 

 

Art. 625

 

– Circostanze aggravanti –

 

La pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire duecentomila a due milioni:

 

  • se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione;

 

  • se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;

 

  • se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso;

 

  • se il fatto è commesso con destrezza, ovvero strappando la cosa di mano o di dosso alla persona;

 

  • se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio;

 

  • se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi, ove si somministrano cibi o bevande;

 

  • se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;

 

  • se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.

 

Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire quattrocentomila a tre milioni.

 

 

 

Art. 626

 

– Furti punibili a querela dell’offeso –

 

Si applica la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a lire quattrocentomila e il delitto è punibile a querela della persona offesa:

 

  • se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (1);

 

  • se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno;

 

  • se il fatto consiste nello spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto.

 

Tali disposizioni non si applicano se concorre taluna delle circostanze indicate nei nn. 1, 2, 3 e 4 dell’articolo precedente.

 

  • Con sentenza n. 1085 del 13 dicembre 1988 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo numero nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.

 

Art. 627

 

– Sottrazione di cose comuni –

 

Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sè o ad altri un profitto, s’impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire quarantamila a quattrocentomila (1).

 

Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante.

 

(1) Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 628

 

– Rapina –

 

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni.

 

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione per assicurare a sè o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sè o ad altri l’impunità.

 

La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da lire due milioni a lire sei milioni:

 

  • se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;

 

  • se la violenza consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire;

 

  • se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416 bis (1).

 

  • Comma così sostituito dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497. Il numero 3 – è stato successivamente aggiunto dalla L. 13 settembre 1982, n. 646. La multa è stata aumentata dall’art. 8, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

Art. 629

 

– Estorsione –

 

Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da lire un milione a quattro milioni (1).

 

La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da lire due milioni a lire sei milioni, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente (2).

 

  • Comma così modificato dall’art. 8, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

  • Comma così modificato dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497.

 

 

 

 

Art. 629 bis

 

– Altre attività estorsive –

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dall’articolo 629, primo comma, si applica nei confronti di chiunque realizzi profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis. La pena è aumentata se i fatti sono commessi da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416 bis (1).

 

(1) Articolo aggiunto dall’art. 9, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419.

 

 

 

 

Art. 630

 

– Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione –

 

Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sè o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.

 

Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.

 

Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo.

 

Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall’art.

 

  1. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.

 

Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.

 

Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma.

 

I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorchè ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo (1).

 

  • Articolo già sostituito dal D.L. 21 marzo 1978, n. 59 e successivamente così sostituito dalla L. 30 dicembre 1980, n. 894.

 

Art. 631

 

– Usurpazione –

 

Chiunque, per appropriarsi, in tutto o in parte dell’altrui cosa immobile, ne rimuove o altera i termini è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattrocentomila (1).

 

  • Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689. Art. 632

 

– Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi –

 

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, devia acque, ovvero immuta nell’altrui proprietà lo stato dei luoghi, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire quattrocentomila (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 633

 

– Invasione di terreni o edifici –

 

Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

 

Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.

 

 

 

Art. 634

 

– Turbativa violenta del possesso di cose immobili –

 

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, turba, con violenza alla persona o con minaccia, l’altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecetomila a seicentomila.

 

Il fatto si considera compiuto con violenza o minaccia quando è commesso da più di dieci persone.

 

 

 

 

Art. 635

 

– Danneggiamento –

 

Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila.

 

La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso:

 

  • con violenza alla persona o con minaccia;

 

  • da datori di lavoro in occasione di serrate, o da lavoratori in occasione di sciopero, ovvero in occasione di alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 330, 331 e 333 (1);

 

  • su edifici pubblici o destinati a uso pubblico all’esercizio di un culto, o su altre delle cose indicate nel n. 7 dell’articolo 625;

 

  • sopra opere destinate all’irrigazione;

 

  • sopra piante di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento.

 

  • Con sentenza n. 119 del 6 luglio 1970 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità del secondo comma di questo articolo nella parte in cui prevede come circostanza aggravante e come causa di procedibilità d’ufficio il fatto che il reato sia commesso da lavoratori in occasione di sciopero e da datori di lavoro in occasione di serrata.

 

Art. 635 bis

 

– Danneggiamento di sistemi informatici e telematici –

 

Chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui, ovvero programmi, informazioni o dati altrui, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

 

Se ricorre una o più delle circostanze di cui al secondo comma dell’articolo 635, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni (1).

 

  • Articolo aggiunto dall’art. 9, L. 23 dicembre 1993, n. 547. Art. 636

 

– Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo –

 

Chiunque introduce o abbandona animali in gregge o in mandria nel fondo altrui è punito con la multa da lire ventimila a duecentomila.

 

Se l’introduzione o l’abbandono di animali, anche non raccolti in gregge o in mandria, avviene per farli pascolare nel fondo altrui, la pena è della reclusione fino a un anno o della multa da lire quarantamila a quattrocentomila.

 

Qualora il pascolo avvenga, ovvero dalla introduzione o dall’abbandono degli animali il fondo sia stato danneggiato, il colpevole è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire centomila a un milione.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa (1).

 

(1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 637

 

– Ingresso abusivo nel fondo altrui –

 

Chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire duecentomila.

 

Art. 638

 

– Uccisione o danneggiamento di animali altrui –

 

Chiunque senza necessità uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri

 

  • punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila.

 

La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.

 

Non è punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno.

 

 

 

Art. 639

 

– Deturpamento e imbrattamento di cose altrui –

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a lire duecentomila.

 

 

 

Art. 639 bis. – Casi di esclusione dalla perseguibilità a querela –

 

Nei casi previsti negli articoli 631, 632, 633 e 636 si procede d’ufficio se si tratta di acque, terreni, fondi, o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Capo II: DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE FRODE

 

Art. 640

 

– Truffa –

 

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni:

 

  • se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

 

  • se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante (1).

 

(1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 640 bis

 

– Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche –

 

La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 19 marzo 1990, n. 55.

 

 

 

 

Art. 640 ter

 

– Frode informatica –

 

Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni.

 

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.

 

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo comma o un’altra circostanza aggravante (1).

 

(1) Articolo aggiunto dall’art. 10, L. 23 dicembre 1993, n. 547.

 

 

 

 

Art. 641

 

– Insolvenza fraudolenta –

 

Chiunque, dissimulando il proprio stato d’insolvenza, contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa, qualora la obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire un milione.

 

L’adempimento della obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.

 

 

 

 

Art. 642

 

– Fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona –

 

Chiunque, al fine di conseguire per sè o per altri il prezzo di un’assicurazione contro infortuni, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa fino a lire due milioni.

 

Alla stessa pena soggiace chi, al fine predetto, cagiona a sè stesso una lesione personale, o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta dall’infortunio.

 

Se il colpevole consegue l’intento, la pena è aumentata.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche se il fatto è commesso all’estero, in danno di un assicuratore italiano, che eserciti la sua industria nel territorio dello Stato; ma il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

 

 

Art. 643

 

– Circonvenzione di persone incapaci –

 

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire quattrocentomila a quattro milioni.

 

 

 

Art. 644

 

– Usura –

 

Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sè o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni.

 

Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sè o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.

 

La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

 

Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

 

Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:

 

  • se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;

 

  • se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;

 

  • se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;

 

  • se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;

 

  • se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione.

 

Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni.

 

Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, L. 7 marzo 1996, n. 108.

 

 

 

 

Art. 644 bis

 

– Usura impropria –

 

Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 644, approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge una attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sè o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni.

 

Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dal comma precedente, procura ad una persona che svolge una attività imprenditoriale professionale e che versa in condizioni di difficoltà economica o finanziaria una somma di denaro o un’altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sè o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.

 

Si applica la disposizione del terzo comma dell’articolo 644.

 

Articolo aggiunto dall’art. 11 quinquies, comma 2, D.L. 2 giugno 1992, n. 306 e successivamente abrogato dall’art. 1, comma 2, L. 7 marzo 1996, n. 108.

 

 

 

Art. 644 ter

 

– Prescrizione del reato di usura –

 

La prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale.

 

Articolo aggiunto dall’art. 11, L. 7 marzo 1995, n. 108.

 

 

 

 

Art. 645

 

– Frode in emigrazione –

 

Chiunque, con mendaci asserzioni o con false notizie, eccitando taluno ad emigrare, o avviandolo a paese diverso da quello nel quale voleva recarsi, si fa consegnare o promettere, per sè o per altri, denaro o altra utilità, come compenso per farlo emigrare, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire seicentomila a due milioni.

 

La pena è aumentata se il fatto è commesso a danno di due o più persone.

 

 

 

 

Art. 646

 

– Appropriazione indebita –

 

Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni.

 

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.

 

Si procede d’ufficio se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61.

 

 

 

Art. 647

 

– Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito –

 

  • punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire sessantamila a seicentomila:

 

  • chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della proprietà di cose trovate;

 

  • chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo;

 

  • chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.

 

Nei casi preveduti dai numeri 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a lire seicentomila.

 

 

 

Art. 648

 

– Ricettazione –

 

Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s’intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da lire un milione a lire venti milioni.

 

La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a lire un milione, se il fatto è di particolare tenuità.

 

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 22 maggio 1975, n. 152.

 

 

 

 

Art. 648 bis

 

– Riciclaggio –

 

Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l’identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

 

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

 

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648 (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 19 gennaio 1990, n. 55.

 

 

 

 

Art. 648 ter

 

– Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita –

 

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

 

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

 

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648 (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 19 marzo 1990, n. 55.

 

 

 

 

Capo III: DISPOSIZIONI COMUNI AI CAPI PRECEDENTI

 

Art. 649

 

– Non punibilità a querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti –

 

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dallo stesso titolo in danno:

 

  • del coniuge non legalmente separato;

 

  • di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell’adottante, o dell’adottato;

 

  • di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

 

I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell’affine in secondo grado con lui conviventi.

 

Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.

 

 

 

Libro terzo

 

DELLE CONTRAVVENZIONI IN PARTICOLARE

 

Titolo I: DELLE CONTRAVVENZIONI DI POLIZIA

 

Capo I: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA DI SICUREZZA

 

Sezione I: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L’ORDINE PUBBLICO E LA TRANQUILLITÀ PUBBLICA

 

  • 1: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L’INOSSERVANZA DEI PROVVEDIMENTI DI POLIZIA E LE MANIFESTAZIONI SEDIZIOSE E PERICOLOSE

 

Art. 650

 

– Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità –

 

Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire quattrocentomila.

 

 

 

Art. 651

 

– Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale –


Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a lire quattrocentomila.

 

 

 

Art. 652

 

– Rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto –

 

Chiunque, in occasione di un tumulto o di un pubblico infortunio o di un comune pericolo, ovvero nella flagranza di un reato, rifiuta, senza giusto motivo, di prestare il proprio aiuto o la propria opera, ovvero di dare le informazioni o le indicazioni che gli siano richieste da un pubblico ufficiale o da una persona incaricata di un pubblico servizio, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire seicentomila.

 

Se il colpevole dà informazioni o indicazioni mendaci, è punito con l’arresto da uno a sei mesi ovvero con l’ammenda da lire sessantamila a un milioneduecentomila.

 

 

 

Art. 653

 

– Formazione di corpi armati non diretti a commettere reati –

 

Chiunque, senza autorizzazione, forma un corpo armato non diretto a commettere reati è punito con l’arresto fino a un anno.

 

 

 

Art. 654

 

– Grida e manifestazioni sediziose –

 

Chiunque, in una riunione che non sia da considerare privata a norma del n. 3 dell’art. 266, ovvero in un luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico, compie manifestazioni o emette grida sediziose è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a un anno.

 

 

 

Art. 655

 

– Radunata sediziosa –

 

Chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più persone è punito, per il solo fatto della partecipazione, con l’arresto fino a un anno.

 

Se chi fa parte della radunata è armato, la pena è dell’arresto non inferiore a sei mesi.

 

Non è punibile chi, prima dell’ingiunzione dell’Autorità, o per obbedire ad essa, si ritira dalla radunata.

 

 

 

 

 

Art. 656

 

  • Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico

 

 

Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire seicentomila.

 

 

 

Art. 657

 

– Grida o notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata –

 

Chiunque, con lo scopo di smerciare o distribuire scritti o disegni in luogo pubblico ovvero aperto o esposto al pubblico, annuncia o grida notizie, dalle quali possa essere turbata la tranquillità pubblica o privata, è punito con l’ammenda fino a lire duecentomila.

 

 

 

Art. 658

 

– Procurato allarme presso l’Autorità –

 

Chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da lire ventimila a un milione.

 

 

 

Art. 659

 

– Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone –

 

Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire seicentomila.

 

Si applica l’ammenda da lire duecentomila a un milione a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità.

 

 

 

Art. 660

 

– Molestia o disturbo alle persone –

 

Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire un milione.

 

 

 

Art. 661

 

 

– Abuso della credulità popolare –


Chiunque, pubblicamente cerca con qualsiasi impostura, anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare è punito, se dal fatto può derivare un turbamento dell’ordine pubblico, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire due milioni.

 

 

 

  • 2: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA VIGILANZA SUI MEZZI DI PUBBLICITÀ

Art. 662

 

– Esercizio abusivo dell’arte tipografica –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, o senza osservare le prescrizioni della legge, esercita l’arte tipografica, litografica, fotografica, o un’altra qualunque arte di stampa o di riproduzione meccanica o chimica in molteplici esemplari, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da lire sessantamila a un milione.

 

Articolo abrogato dall’art. 13, D.Lgs. 11 luglio 1994, n. 480.

 

 

 

 

Art. 663

 

– Vendita, distribuzione o affissione abusiva di scritti o disegni –

 

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, vende o distribuisce o mette comunque in circolazione scritti o disegni, senza avere ottenuto l’autorizzazione richiesta dalla legge, è punito con l’arresto fino a un mese e con l’ammenda fino a lire cinquantamila.

 

Alla stessa pena soggiace chiunque, senza licenza dell’Autorità e senza osservarne le prescrizioni, in luogo pubblico aperto o esposto al pubblico, affigge scritti o disegni, o fa uso di mezzi luminosi o acustici per comunicazioni al pubblico, o comunque colloca iscrizioni o disegni.

 

Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano all’affissione di scritti o disegni fuori dai luoghi destinati dall’autorità competente (1).

 

(1) Comma aggiunto dall’art. 8, D.Lgs. 11 luglio 1994, n. 480.

 

 

 

 

Art. 663 bis

 

– Divulgazione di stampa clandestina –

 

Salvo che il fatto non costituisca reato più grave, chiunque in qualsiasi modo divulga stampe o stampati pubblicati senza l’osservanza delle prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione della stampa periodica e non periodica, è punito con l’ammenda fino a lire duecentocinquantamila o con l’arresto fino ad un anno (1).

 

(1) Articolo aggiunto dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

 

 

 

 

 

Art. 664

 

– Distruzione o deterioramento di affissioni –

 

Chiunque stacca, lacera o rende comunque inservibili o illeggibili scritti o disegni, fatti affiggere dalle Autorità civili o da quelle ecclesiastiche, è punito con l’ammenda fino a lire seicentomila.

 

Se si tratta di scritti o disegni fatti affiggere da privati, nei luoghi e nei modi consentiti dalla legge o dall’Autorità, la pena è dell’ammenda fino a lire duecentomila.

 

 

 

  • 3: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA VIGILANZA SU TALUNE INDUSTRIE E SUGLI SPETTACOLI PUBBLICI

Art. 665

 

– Agenzie di affari ed esercizi pubblici non autorizzati o vietati –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, o senza la preventiva dichiarazione alla medesima, quando siano richieste, apre o conduce agenzie di affari, stabilimenti o esercizi pubblici, ovvero per mercede alloggia persone, o le riceve in convitto o in cura, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire un milione.

 

Se la licenza è stata negata, revocata o sospesa, le pene dell’arresto e dell’ammenda si applicano congiuntamente.

 

Qualora, ottenuta la licenza, non si osservino le altre prescrizioni della legge o dell’Autorità, la pena è dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda fino a lire seicentomila.

 

Articolo abrogato dall’art. 13, D.Lgs. 11 luglio 1994, n. 480.

 

 

 

 

Art. 666

 

– Spettacoli o trattenimenti pubblici senza licenza –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, dà spettacoli o trattenimenti di qualsiasi natura, o apre circoli o sale da ballo o di audizione, è punito con l’ammenda da lire ventimila a un milione.

 

Se la licenza è stata negata, revocata o sospesa, la pena è dell’arresto fino a un mese (1).

 

  • Con sentenza n. 56 del 15 aprile 1970 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo nella

 

parte in cui prescrive che per i trattenimenti da tenersi in luoghi aperti al pubblico, e non indetti nell’esercizio di attività imprenditoriali, occorre la licenza del questore.

 

 

 

Art. 667

 

– Esecuzione abusiva di azioni destinate a essere riprodotte col cinematografo –

 

Chiunque fa eseguire in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico azioni destinate a essere riprodotte col cinematografo, senza averne dato preventivo avviso all’Autorità, è punito con l’ammenda da lire duecentomila a un milione.

 

Alla stessa pena soggiace chi fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, ovvero esporta o fa comunque commercio di pellicole cinematografiche, senza averne dato il preventivo avviso all’Autorità.

 

Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso contro il divieto dell’Autorità, la pena è dell’arresto fino a un mese.

 

Articolo abrogato dall’art. 13, D.Lgs. 11 luglio 1994, n. 480.

 

 

 

 

Art. 668

 

– Rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive –

 

Chiunque recita in pubblico drammi o altre opere, ovvero dà in pubblico produzioni teatrali di qualunque genere, senza averli prima comunicati all’Autorità, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire seicentomila.

 

Alla stessa pena soggiace chi fa rappresentare in pubblico pellicole cinematografiche, non sottoposte prima alla revisione dell’Autorità.

 

Se il fatto è commesso contro il divieto dell’Autorità, la pena pecuniaria e la pena detentiva sono applicate congiuntamente.

 

Il fatto si considera commesso in pubblico se ricorre taluna delle circostanze indicate nei nn. 2 e 3 dell’articolo 266.

 

 

 

  • 4: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA VIGILANZA

 

SUI MESTIERI GIROVAGHI E LA PREVENZIONE DELL’ACCATTONAGGIO

 

Art. 669

 

– Esercizio abusivo di mestieri girovaghi –

 

Chiunque esercita un mestiere girovago senza la licenza dell’Autorità o senza osservare le altre prescrizioni stabilite dalla legge, è punito con la sanzione amministrativa da lire ventimila a lire cinquecentomila.

 

Alla stessa pena soggiace il genitore o il tutore che impiega in mestieri girovaghi un minore degli anni diciotto, senza che questi abbia ottenuto la licenza o abbia osservato le altre prescrizioni di legge.

 

La pena è della sanzione amministrativa (1) da lire ventimila a lire cinquantamila e può essere ordinata la libertà vigilata:

 

  • se il fatto è commesso contro il divieto della legge o dell’Autorita;

 

  • se la persona che esercita abusivamente il mestiere di girovago ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non colposo.

 

(1) Sanzione così modificata dall’art. 33, L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

 

Art. 670

 

– Mendicità –

 

Chiunque mendica in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con l’arresto fino a tre mesi.

 

La pena è dell’arresto da uno a sei mesi se il fatto è commesso in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando deformità o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.

 

 

 

Art. 671

 

– Impiego di minori nell’accattonaggio –

 

Chiunque si vale, per mendicare, di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se ne valga per mendicare, è punito con l’arresto da tre mesi a un anno.

 

Qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, la condanna importa la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori o dall’ufficio di tutore.

 

 

 

Sezione II: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L’INCOLUMITÀ PUBBLICA

 

  • 1: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L’INCOLUMITÀ DELLE PERSONE NEI LUOGHI DI PUBBLICO TRANSITO O NELLE ABITAZIONI

Art. 672

 

– Omessa custodia e malgoverno di animali –

 

Chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti, o ne affida la custodia a persona inesperta, è punito con la sanzione amministrativa (1) da lire cinquantamila a lire cinquecentomila.

 

Alla stessa pena soggiace:

 

  • chi, in luoghi aperti, abbandona a se stessi gli animali da tiro, da soma o da corsa, o li lascia comunque senza custodia, anche se non siano disciolti, o li attacca o conduce in modo da esporre a pericolo l’incolumità pubblica, ovvero li affida a persona inesperta;

 

  • Chi aizza o spaventa animali, in modo da mettere in pericolo l’incolumità delle persone.

 

(1) Sanzione così modificata dall’art. 33, L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 673

 

– Omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari –

 

Chiunque omette di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge o dall’Autorità per impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito, ovvero rimuove i segnali o i ripari suddetti, o spegne i fanali collocati come segnali, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire un milione.

 

Alla stessa pena soggiace chi rimuove apparecchi o segnali diversi da quelli indicati nella disposizione precedente e destinati a un servizio pubblico o di pubblica necessità, ovvero spegne i fanali della pubblica illuminazione.

 

 

 

Art. 674

 

– Getto pericoloso di cose –

 

Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a lire quattrocentomila.

 

 

 

Art. 675

 

– Collocamento pericoloso di cose –

 

Chiunque, senza le debite cautele, pone o sospende cose, che, cadendo in un luogo di pubblico transito, o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, possano offendere o imbrattare o molestare persone, è punito con l’ammenda fino a lire duecentomila.

 

 

 

Art. 676

 

– Rovina di edifici o di altre costruzioni –

 

Chiunque ha avuto parte nel progetto o nei lavori concernenti un edificio o un’altra costruzione, che poi, per sua colpa, rovini, è punito con l’ammenda non inferiore a lire duecentomila.

 

Se dal fatto è derivato pericolo alle persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi ovvero dell’ammenda non inferiore a lire seicentomila.

 

 

 

Art. 677

 

– Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina –

 

Il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con l’ammenda non inferiore a lire duecentomila.

 

Alla stessa pena soggiace chi, avendone l’obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione.

 

Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore a lire seicentomila.

 

 

 

 

  • 2: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI INFORTUNI

 

NELLE INDUSTRIE O NELLA CUSTODIA DI MATERIE ESPLODENTI

 

Art. 678

 

– Fabbricazione o commercio abusivi di materie esplodenti –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità o senza le prescritte cautele, fabbrica o introduce nello Stato, ovvero tiene in deposito o vende o trasporta materie esplodenti o sostanze destinate alla composizione o alla fabbricazione di esse, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda fino a lire quattrocentottantamila.

 

 

 

Art. 679

 

– Omessa denuncia di materie esplodenti –

 

Chiunque omette di denunciare all’Autorità che egli detiene materie esplodenti di qualsiasi specie, ovvero materie infiammabili, pericolose per la loro qualità o quantità, è punito con l’arresto fino a dodici mesi o con l’ammenda fino a lire settecentoventimila.

 

Soggiace all’ammenda fino a lire quattrocentottantamila chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano materie esplodenti, omette di farne denuncia all’Autorità.

 

Nel caso di trasgressione all’ordine legalmente dato dall’Autorità, di consegnare, nei termini prescritti, le materie esplodenti, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni o dell’ammenda da lire settantaduemila a un milioneduecentomila.

 

 

 

Art. 680

 

– Circostanze aggravanti –

 

Le pene per le contravvenzioni prevedute dai due articoli precedenti sono aumentate se il fatto è commesso da alcuna delle persone alle quali la legge vieta di concedere la licenza, ovvero se questa è stata negata o revocata.

 

 

 

Art. 681

 

– Apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento –

 

Chiunque apre o tiene aperti luoghi di pubblico spettacolo, trattenimento o ritrovo, senza avere osservato le prescrizioni dell’Autorità a tutela della incolumità pubblica, è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda non inferiore a lire duecentomila.

 

 

 

Sezione III: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI

 

LA PREVENZIONE DI TALUNE SPECIE DI REATI

 

  • 1: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA TUTELA PREVENTIVA DEI SEGRETI

 

Art. 682

 

– Ingresso arbitrario in luoghi, ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato –

 

Chiunque si introduce in luoghi, nei quali l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto da tre mesi a un anno, ovvero con l’ammenda da lire centomila a seicentomila.

 

 

 

Art. 683

 

– Pubblicazione delle discussioni o delle deliberazioni segrete di una delle Camere –

 

Chiunque, senza autorizzazione, pubblica col mezzo della stampa, o con un altro dei mezzi indicati nell’articolo 662, anche per riassunto, il contenuto delle discussioni o delle deliberazioni segrete, del Senato o della Camera dei deputati, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da lire centomila a cinquecentomila (1).

 

(1)Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 684

 

– Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale –

 

Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da lire centomila a cinquecentomila (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 685

 

– Indebita pubblicazione di notizie concernenti un procedimento penale –

 

Chiunque pubblica i nomi dei giudici, con l’indicazione dei voti individuali che ad essi si attribuiscono nelle deliberazioni prese in un procedimento penale, è punito con l’arresto fino a quindici giorni o con l’ammenda da lire cinquantamila a duecentomila (1).

 

(1) Articolo così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

  • 2: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DELL’ALCOOLISMO E DEI DELITTI COMMESSI IN STATO DI UBRIACHEZZA

Art. 686

 

  • Fabbricazione o commercio abusivi di liquori o droghe, o di sostanze destinate alla loro composizione –


Chiunque, contro il divieto della legge, ovvero senza osservare le prescrizioni della legge o dell’autorità,

 

fabbrica o introduce nello Stato droghe, liquori o altre bevande alcooliche ovvero detiene per vendere o

vende droghe, è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da lire centomila a un milione (1).

 

Alla stessa pena soggiace chi, senza osservare le prescrizioni della legge o dell’Autorità, fabbrica o introduce nello Stato sostanze destinate alla composizione di liquori o droghe.

 

(1) Comma così sostituito dall’art. 9, D.Lgs. 11 luglio 1994, n. 480.

 

 

 

 

Art. 687

 

– Consumo di bevande alcooliche in tempo di vendita non consentita –

 

Chiunque acquista o consuma, in un esercizio pubblico, bevande alcooliche fuori del tempo in cui ne è permessa la vendita, è punito con la sanzione amministrativa (1) fino a lire centomila.

 

(1) Sanzione così modificata dall’art. 33, L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 688

 

– Ubriachezza –

 

Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, è colto in stato di manifesta ubriachezza è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da lire ventimila a quattrocentomila.

 

La pena è dell’arresto da tre a sei mesi se il fatto è commesso da chi ha già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale.

 

La pena è aumentata se la ubriachezza è abituale.

 

 

 

 

Art. 689

 

– Somministrazione di bevande alcooliche a minori o a infermi di mente –

 

L’esercente un’osteria o un altro pubblico spazio di cibi o di bevande, il quale somministra, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore degli anni sedici, o a persona che appaia affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un’altra infermità, è punito con l’arresto fino a un anno.

 

Se dal fatto deriva l’ubriachezza, la pena è aumentata.

 

La condanna importa la sospensione dall’esercizio.

 

 

 

 

Art. 690

 

 

– Determinazione in altri dello stato di ubriachezza –


Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, cagiona la ubriachezza altrui, somministrando bevande alcooliche, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da lire sessantamila a seicentomila.

 

 

 

Art. 691

 

– Somministrazione di bevande alcooliche a persona in stato di manifesta ubriachezza –

 

Chiunque somministra bevande alcooliche a una persona in stato di manifesta ubriachezza, è punito con l’arresto da tre mesi a un anno.

 

Qualora il colpevole sia esercente un’osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o bevande, la condanna importa la sospensione dall’esercizio.

 

 

 

  • 3: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI DELITTI CONTRO LA FEDE PUBBLICA

Art. 692

 

– Detenzione di misure e pesi illegali –

 

Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, o in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi diversi da quelli stabiliti dalla legge, ovvero usa misure o pesi senza osservare le prescrizioni di legge, è punito con l’ammenda da lire ventimila a quattrocentomila.

 

Se il colpevole ha già riportato una condanna per delitti contro il patrimonio, o contro la fede pubblica, o contro l’economia pubblica, l’industria o il commercio, o per altri delitti della stessa indole, può essere sottoposto alla libertà vigilata.

 

 

 

Art. 693

 

– Rifiuto di monete aventi corso legale –

 

Chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa (1) fino a lire sessantamila.

 

(1) Sanzione così modificata dall’art. 33, L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 694

 

– Omessa consegna di monete riconosciute contraffatte –

 

Chiunque avendo ricevuto come genuine, per un valore complessivo non inferiore a lire venti, monete contraffatte o alterate, non le consegna all’Autorita entro tre giorni da quello in cui ne ha conosciuto la falsità o l’alterazione, indicandone la provenienza se la conosce, è punito con la sanzione amministrativa (1) fino a lire quattrocentomila.

 

(1) Sanzione così modificata dall’art. 33, L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

  • 4: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI DELITTI CONTRO LA VITA E L’INCOLUMITÀ INDIVIDUALE

Art. 695

 

– Fabbricazione o commercio non autorizzati di armi –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, fabbrica o introduce nello Stato, o esporta, o pone comunque in vendita armi, ovvero ne fa raccolta per ragioni di commercio o di industria, è punito con l’arresto fino a tre anni e con l’ammenda fino a lire due milioni quattrocentomila.

 

Non si applica la pena dell’arresto, qualora si tratti di collezioni di armi artistiche, rare o antiche.

 

 

 

 

Art. 696

 

– Vendita ambulante di armi –

 

Chiunque esercita la vendita ambulante di armi è punito con l’arresto fino a tre anni e con l’ammenda fino a lire due milioni quattrocentomila.

 

 

 

Art. 697

 

– Detenzione abusiva di armi –

 

Chiunque detiene armi o munizioni senza averne fatto denuncia all’Autorità, quando la denuncia è richiesta, è punito con l’arresto fino a dodici mesi o con l’ammenda fino a lire settecentoventimila.

 

Chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano armi o munizioni, omette di farne denuncia all’autorità, è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda fino a lire cinquecentomila (1).

 

(1) Comma così sostituito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

 

 

Art. 698

 

– Omessa consegna di armi –

 

Chiunque trasgredisce all’ordine, legalmente dato dall’Autorità, di consegnare nei termini prescritti le armi o le munizioni da lui detenute, è punito con l’arresto non inferiore a nove mesi o con l’ammenda non inferiore a lire duecentoquarantamila.

 

 

 

Art. 699

 

– Porto abusivo di armi –


Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, quando la licenza è richiesta, porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi.

 

Soggiace all’arresto da diciotto mesi a tre anni chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza.

 

Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso in luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte o in luogo abitato, le pene sono aumentate.

 

 

 

Art. 700

 

– Circostanze aggravanti –

 

Nei casi preveduti dagli articoli precedenti, la pena è aumentata qualora concorra taluna delle circostanze indicate nell’articolo 680.

 

 

 

Art. 701

 

– Misura di sicurezza –

 

Il condannato per alcuna delle contravvenzioni prevedute dagli articoli precedenti può essere sottoposto alla libertà vigilata.

 

 

 

Art. 702

 

Articolo abrogato dall’art. 9, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.

 

 

 

 

Art. 703

 

– Accensioni ed esplosioni pericolose –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, in un luogo abitato o nelle sue adiacenze, o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara armi da fuoco, accende fuochi d’artificio, o lancia razzi, o innalza aerostati con fiamme, o, in genere, fa accensioni o esplosioni pericolose, è punito con l’ammenda fino a lire duecentomila.

 

Se il fatto è commesso in un luogo ove sia adunanza o concorso di persone, la pena è dell’arresto fino a un mese.

 

 

 

Art. 704

 

– Armi –

 

Agli effetti delle disposizioni precedenti, per “armi” si intendono:

 

1) quelle indicate nel n. 1 del capoverso dell’articolo 585;

 

2) le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, e i gas asfissianti o accecanti.

 

 

 

 

  • 5: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA PREVENZIONE DI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

Art. 705

 

– Commercio non autorizzato di cose preziose –

 

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità o senza osservare le prescrizioni della legge, fabbrica o pone in commercio cose preziose, o compie su esse operazioni di mediazione o esercita altre simili industrie, arti o attività, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a due milioni.

 

 

 

Art. 706

 

– Commercio clandestino di cose antiche –

 

Chiunque esercita il commercio di cose antiche o usate, senza averne prima fatto dichiarazione all’Autorità, quando la legge la richiede, o senza osservare le prescrizioni della legge, è punito con l’ammenda da lire ventimila a seicentomila.

 

Articolo abrogato dall’art. 13, D.Lgs. 11 luglio 1994, n. 480.

 

 

 

 

Art. 707

 

– Possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli –

 

Chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, o per mendicità o essendo ammonito o sottoposto a una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, è punito con l’arresto da sei mesi a due anni.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 2 febbraio 1971, n. 14, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo limitatamente alla parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta.

 

 

 

Art. 708

 

– Possesso ingiustificato di valori –

 

Chiunque, trovandosi nelle condizioni personali indicate nell’articolo precedente, è colto in possesso di denaro o di oggetti di valore, o di altre cose non confacenti al suo stato, e dei quali non giustifichi la provenienza, è punito con l’arresto da tre mesi a un anno.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 19 luglio 1968, n. 110, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo limitatamente alla parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per

 

mendicità, di ammonito, di sottoposto a misure di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta. Successivamente la stessa Corte, con sentenza 2 novembre 1996, n. 370, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso articolo.

 

 

 

Art. 709

 

– Omessa denuncia di cose provenienti da delitto –

 

Chiunque, avendo ricevuto denaro o acquistato o comunque avuto cose provenienti da delitto, senza conoscerne la provenienza, omette, dopo averla conosciuta, di darne immediato avviso all’Autorita è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire un milione.

 

 

 

Art. 710

 

– Vendita o consegna di chiavi o grimaldelli a persona sconosciuta –

 

Chiunque fabbrica chiavi di qualsiasi specie su richiesta di persona diversa dal proprietario o possessore del luogo o dell’oggetto a cui le chiavi sono destinate, o da un incaricato di essi, ovvero, esercitando il mestiere di fabbro, chiavaiuolo o un altro simile mestiere, consegna o vende a chicchessia grimaldelli o altri strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire ventimila a duecentomila.

 

 

 

Art. 711

 

– Apertura arbitraria di luoghi o di oggetti –

 

Chiunque, esercitando il mestiere di fabbro o di chiavaiuolo, ovvero un altro simile mestiere, apre serrature o altri congegni analoghi apposti a difesa di un luogo o di un oggetto, su domanda di chi non sia da lui conosciuto come proprietario o possessore del luogo o dell’oggetto, o come un loro incaricato, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire ventimila a quattrocentomila.

 

 

 

Art. 712

 

– Acquisto di cose di sospetta provenienza –

 

Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore a lire ventimila.

 

Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.

 

 

 

Art. 713

 

 

– Misura di sicurezza –


Il condannato per alcuna delle contravvenzioni prevedute dagli articoli precedenti può essere sottoposto alla libertà vigilata.

 

 

 

  • 6: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA CUSTODIA DI MINORI O DI PERSONE DETENUTE

Art. 714

 

Abrogato dalla L. 13 maggio 1978, n. 180.

 

 

 

 

Art. 715

 

Abrogato dalla L. 13 maggio 1978, n. 180.

 

 

 

 

Art. 716

 

– Omesso avviso all’Autorità della evasione o fuga di minori –

 

Il pubblico ufficiale o l’addetto a uno stabilimento destinato alla esecuzione di pene o di misure di sicurezza, ovvero ad un riformatorio pubblico, che omette di dare immediato avviso all’Autorità dell’evasione o della fuga di persona ivi detenuta o ricoverata, è punito con l’ammenda da lire ventimila a lire quattrocentomila (1).

 

La stessa disposizione si applica a chi per legge o per provvedimento dell’Autorità è stata affidata una persona a scopo di custodia o di vigilanza.

 

(1) Comma così modificato dalla L. 13 maggio 1978, n. 180.

 

 

 

 

Art. 717

 

Abrogato dalla L. 13 maggio 1978, n. 180.

 

 

 

 

Capo II: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI

 

LA POLIZIA AMMINISTRATIVA SOCIALE

 

Sezione I: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA DEI COSTUMI

 

Art. 718

 

– Esercizio di giuochi di azzardo –

 

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o in circoli privati di qualunque specie, tiene un giuoco d’azzardo o lo agevola è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire quattrocentomila.

 

Se il colpevole è un contravventore abituale o professionale, alla libertà vigilata può essere aggiunta la cauzione di buona condotta.

 

 

 

Art. 719

 

– Circostanze aggravanti –

 

La pena per il reato preveduto dall’articolo precedente è raddoppiata:

 

  • se il colpevole ha istituito o tenuto una casa da giuoco;

 

  • se il fatto è commesso in un pubblico esercizio;

 

  • se sono impegnate nel giuoco poste rilevanti;

 

  • se fra coloro che partecipano al giuoco sono persone minori degli anni diciotto.

 

 

 

 

Art. 720

 

– Partecipazione a giuochi di azzardo –

 

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, o in circoli privati di qualunque specie, senza esser concorso nella contravvenzione preveduta dall’articolo 718, è colto mentre prende parte al giuoco d’azzardo,

 

  • punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire un milione. La pena è aumentata:

 

1) nel caso di sorpresa in una casa da giuoco o in un pubblico esercizio;

 

2) per coloro che hanno impegnato nel giuoco poste rilevanti.

 

 

 

 

Art. 721

 

– Elementi essenziali del giuoco d’azzardo. Case da giuoco –

 

Agli effetti delle disposizioni precedenti:

 

sono “giuochi di azzardo” quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria;

 

sono “case da giuoco” i luoghi di convegno destinati al giuoco d’azzardo, anche se privati, e anche se lo scopo del giuoco è sotto qualsiasi forma dissimulato.

 

 

 

Art. 722

 

 

– Pena accessoria e misura di sicurezza –


La condanna per alcuna delle contravvenzioni prevedute dagli articoli precedenti importa la pubblicazione della sentenza. È sempre ordinata la confisca del denaro esposto nel giuoco e degli arnesi od oggetti ad esso destinati.

 

 

 

Art. 723

 

– Esercizio abusivo di un giuoco non d’azzardo –

 

Chiunque, essendo autorizzato a tenere sale da giuoco o da bigliardo, tollera che vi si facciano giuochi non d’azzardo, ma tuttavia vietati dall’Autorità, è punito con l’ammenda da lire diecimila a duecentomila.

 

Nei casi preveduti dai numeri 3 e 4 dell’articolo 719, si applica l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda da lire centomila a un milione.

 

Per chi sia colto mentre prende parte al giuoco, la pena è dell’ammenda fino a lire centomila.

 

 

 

 

Art. 724

 

– Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti –

 

Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato, è punito con l’ammenda da lire ventimila a seicentomila (1).

 

Alla stessa pena soggiace chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti.

 

  • La Corte costituzionale, con sentenza n. 440 del 18 ottobre 1995, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma limitatamente alle parole “o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato”.

 

 

 

Art. 725

 

– Commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza –

 

Chiunque espone alla pubblica vista o, in luogo pubblico o aperto al pubblico, offre in vendita o distribuisce scritti, disegni o qualsiasi altro oggetto figurato, che offende la pubblica decenza, è punito con l’ammenda da lire ventimila a due milioni.

 

 

 

Art. 726

 

– Atti contrari alla pubblica decenza. Turpiloquio –

 

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da lire ventimila a quattrocentomila.

 

Soggiace all’ammenda fino a lire centomila chi in un luogo pubblico o aperto al pubblico usa linguaggio contrario alla pubblica decenza.

 

Art. 727

 

– Maltrattamento di animali –

 

Chiunque incrudelisce verso animali o senza necessità li sottopone a eccessive fatiche o a torture, ovvero li adopera in lavori ai quali non siano adatti per malattia o per età, è punito con l’ammenda da lire ventimila a seicentomila (1).

 

Alla stessa pena soggiace chi, anche per solo fine scientifico o didattico, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, sottopone animali vivi a esperimenti tali da destare ribrezzo.

 

La pena è aumentata, se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, i quali importino strazio o sevizie.

 

Nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, se il colpevole è un conducente di animali, la condanna importa la sospensione dell’esercizio del mestiere, quando si tratta di un contravventore abituale o professionale.

 

  • L’ammenda è stata elevata nel minimo a lire cinquecentomila e nel massimo a lire 3 milioni dall’art. 5, comma 5, della legge 14 agosto 1991, n. 281.

 

 

 

Sezione II: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI LA POLIZIA SANITARIA

 

Art. 728

 

– Trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui –

 

Chiunque pone taluno, col suo consenso, in stato di narcosi o d’ipnotismo, o esegue su lui un trattamento che ne sopprima la coscienza o la volontà, è punito, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità della persona, con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda da lire sessantamila a un milione.

 

Tale disposizione non si applica se il fatto è commesso, a scopo scientifico o di cura, da chi esercita una professione sanitaria.

 

 

 

Art. 729

 

Abrogato dalla L. 22 dicembre 1975, n. 685.

 

 

 

 

Art. 730

 

– Somministrazione a minori di sostanze velenose o nocive –

 

Chiunque, essendo autorizzato alla vendita o al commercio di medicinali, consegna a persona minore degli anni sedici sostanze velenose o stupefacenti, anche su prescrizione medica, è punito con l’ammenda fino a lire un milione.

 

Soggiace all’ammenda fino lire duecentomila chi vende o somministra tabacco a persona minore degli anni quattordici.

 

Titolo II: DELLE CONTRAVVENZIONI CONCERNENTI L’ATTIVITÀ SOCIALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

Art. 731

 

– Inosservanza dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori –

 

Chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, di impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare è punito con l’ammenda fino a lire sessantamila.

 

 

 

Art. 732

 

– Omesso avviamento dei minori a lavoro –

 

Chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore che ha compiuto gli anni quattordici e deve trarre dal lavoro il proprio sostentamento, omette, senza giusto motivo, di avviarlo al lavoro è punito con l’ammenda fino a lire sessantamila.

 

 

 

Art. 733

 

– Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale –

 

Chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda non inferiore a lire quattro milioni.

 

Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o comunque danneggiata.

 

 

 

 

Art. 734

 

– Distruzione o deturpamento di bellezze naturali –

 

Chiunque, mediante ostruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità, è punito con l’ammenda da lire due milioni a dodici milioni.

 

 

 

Art. 734 bis

 

– Divulgazione delle generalità o dell’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale –

 

Chiunque, nei casi di delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa senza il suo consenso, è punito con l’arresto da tre a sei mesi.

 

Articolo aggiunto dall’art. 12, L. 15 febbraio 1996, n. 66.